

Perché si diventa juventini? Certo, come no… Ogni tanto arriva qualcuno (di solito non juventino) a spiegarcelo, e magari a bacchettarci.
Grazie, ma fatevi gli affari vostri.
Perché ci si innamora? Come si fa a innamorarsi? Ecco, più o meno il livello è lo stesso. Con la differenza che almeno, se si parla di amore, di solito non arriva nessuno a spiegarti perché sia sbagliato innamorarsi di quella donna lì e perché dovresti invece innamorarti di quell’altra.
Seriamente. Da sempre ci raccontano che si tifa Juve perché è quella che vince di più, ed è più semplice tifare per chi vince. Certo, quindi tifare Juve secondo questi fenomeni sarebbe facile, o almeno sarebbe più facile che tifare per altre squadre. Ma come… non era un altro il club più titolato al mondo? E le 7 Champions League? E quelli mai stati in B, quelli del triplete?
Poi, arriva qualcun altro a spiegarci che, se non sei di Torino, devi tifare per la squadra della tua città e non per la Juve, sennò sei contro natura. Peraltro, se invece sei torinese, devi tifare Toro e non Juve, perché Torino è granata, e altre amenità quali la tradizione, la sfiga congenita (i perdenti fanno simpatia), il tremendismo, etc…
Poi, c’è la tradizione di famiglia, alla quale adeguarsi o contrapporsi a seconda dei casi. E come dimenticare l’ammirazione e l’innamoramento verso il singolo campione? Senza tralasciare l’orgoglio, i colori, la retorica della maglia. Ce n’è per tutti i gusti.
Insomma, due cose emergono. La prima è che il tifo, così come tutti i sentimenti che producono emozioni forti, non è analizzabile razionalmente: ognuno ha i suoi motivi, probabilmente diversi da quelli degli altri. La seconda? Chi si propone di spiegarci perché tifiamo una squadra… in realtà vorrebbe solo dimostrarci perché, secondo lui, sia sbagliato farlo.
Quindi, torniamo al punto iniziale. Grazie, ma fatevi gli affari vostri.
RAFFAELE
Mi piacerebbe raccontarvi di come da ragazzo il bullo della scuola fosse cagliaritano e tifoso sfegatato del Cagliari, e avesse coinvolto tutta la classe in un ideale “Cagliari Club”, cui ovviamente non mancò la mia adesione di seienne che non capiva una sega di calcio (provando anche un interesse prossimo allo zero). O di come l’anno dopo tutti diventarono romanisti (per lo scudetto della Roma di Falcao, ovviamente) tranne il cagliaritano, un altro sminchiato diventato nel frattempo milanista e il sottoscritto, che aveva deciso di riflettere seriamente su cosa fosse il calcio e quanto valesse la pena seguirlo. E infine di come restai incantato nel vedere per la prima volta a “Novantesimo Minuto” le eleganti maglie bianconere con sponsor “Ariston”, che così tanto somigliavano a quella che era la mia maglia preferita (le strisce di quest’ultima erano orizzontali, ma per il resto…). O dei brividi nel vedere gente come Zoff Cabrini Gentile Scirea Bonini Platini eccetera eccetera… Magari anche parlare delle emozioni di un ragazzino che aspettava con trepidazione il mercoledì di Coppa, con le squadre straniere e le loro stramberie (come? il 12 non è il secondo portiere? E che razza di font usano per i numeri questi barbari?) e l’emozione di vedere quelli che ormai erano diventati i miei beniamini confrontarsi con avversari così diversi… E vincere (Basilea). E ahimè perdere (Atene) .
Ma sapete tutti che sarebbe solo un racconto di fantasia: alla fine mi pare ovvio che se sono diventato giuventino è solo perché sono un apolide pseudopugliesefoggiano rinnegato che ha scelto la squadra dichiaratamente più forte per potermi bullare con gli amici e i parenti. Vuoi mettere avere gli aLbitri sempre al tuo servizio? Vabbeh, comunque Forza Cagliari!
ANGELO
Beh, che dire… domanda difficile, non so perché in generale le persone scelgano di diventare tifosi della Juve. C’è chi lo fa per il blasone, chi perché si innamora di un campione in particolare, chi per i valori che trasmette una gloriosa società come la nostra. Per me, a dire la verità, è stato tutto molto semplice. Una sera non sapevo che cacchio fare, mi sono seduto sul divano e ho pensato: “Vediamo un po’, la cacca e la pipì già le ho fatte, mi sono lavato, il bambino all’asilo l’ho portato, il bollo l’ho pagato, cartellino in ufficio timbrato, la spazzatura l’ho uscita, il cane l’ho pisciato, ho fatto tutto, e ora? Ah ecco cosa posso fare, potrei diventare juventino!”. Inizialmente i miei parenti non erano d’accordo e mi dicevano “Lascia stare, a guardare troppe partite si diventa ciechi!” oppure “Meglio che tifi per la Roma fidati, chi tifa Roma non perde mai!” oppure “Ma la Juve è di Torino, dovresti tifare per la squadra del tuo paese, anche se sta in terza categoria!” oppure ancora “Guarda che alla Juve sono tutti ladridrogaticomunistimafiosiricchionipuzzanofascistimerdemoritebastardi”.
Eppure è andata così, ero indeciso tra La Juventus e la Ternana, però essendo daltonico le maglie rosso-verdi della Ternana mi fanno venire un attacco di diarrea acuta ogni volta che le guardo, quindi ho dovuto rinunciare a malincuore. Sarei stato costretto a installare un WC in salotto e non avevo sbatty. In ogni caso presumo che avrei potuto incontrare qualche resistenza, seppur blanda, da parte di mia moglie. E poi ho scelto la Juve anche perché sono una persona con gravi problemi mentali: pensate che a me del bel gioco m’importa una sega, delle statistiche manco per niente, figuriamoci se mi sogno di tifare per la squadra locale con l’intento di fare del bene in qualche modo alla “mia terra”. In un gioco in cui c’è una squadra che vince e una che perde, mi piace vincere, pensate quanto sono perverso e juventino in questo. Mi faccio quasi schifo da solo, beati tutti quelli che non vincono mai, loro sì sono dei veri tifosi.
NINO
No, non sono diventato juventino, e neanche gobbo. Sono diventato gobbodimmerda, scritto così, tutto attaccato, con la doppia emme. Così come si diceva nella più sfigata periferia sabauda degli anni sessanta, quella della mia infanzia.
Probabilmente, sono nato juventino, ma me ne sono accorto solo durante le elementari, parlando con i miei compagni di scuola.
I figli di immigrati erano quasi tutti interisti: come dargli torto? La squadra di Angelo Moratti, Italo Allodi e Helenio Herrera veniva da quattro primi posti negli ultimi quattro anni (tre scudetti e uno perso nello spareggio contro il Bologna), due vittorie europee e due intercontinentali.
I pochi torinesi doc erano divisi tra granata e bianconeri, con leggera prevalenza numerica dei primi, che, citando i racconti dei genitori, rievocavano una tragedia di una quindicina d’anni prima, che aveva distrutto la squadra più forte della storia…
L’unica cosa che accomunava interisti e granata dell’epoca era un incomprensibile e assoluto odio per la Juve, cui veniva imputato di rubare, di essere la squadra che rappresentava l’arroganza dei potenti.
All’epoca, di calcio sapevo assai poco, ma fu facile concludere che “se la odiano così tanto tutti quanti, deve essere davvero qualcosa di grande: sarà la mia squadra!”.
In realtà la odiavano solo perché aveva vinto più di tutti, e si trattava di invidia, più che di altro. Invidia per quella mentalità vincente (da squadra di razza, nata per primeggiare non appena se ne fosse presentata l’occasione) unanimemente riconosciutaci anche dai più acerrimi avversari. Mi accorsi di essere gobbo.
“Non puoi tenere per la goeba: è la squadra di Agnelli, del padrone, e tu sei figlio di un operaio della Fiat“. Fu la reazione del mio compagno di banco, granata. Credo sia stato in quell’occasione che ho pensato per la prima volta: “che Dio che ce li conservi sempre così!“.
La percezione del fatto che gli altri continuassero a non riconoscere il valore delle nostre vittorie e a non capirci un tubo, mi diede la certezza delle gioie future, alla faccia loro, e completò la mia evoluzione da gobbo a gobbodimmerda.
Giusto così. D’altronde, potendo scegliere, quando si gioca a guardie e ladri, è molto più divertente stare dalla parte dei ladri, no?
COSIMO
Trauma infantile fu. Ho sempre conservato nel più profondo del mio animo le recondite motivazioni che mi hanno portato all’insana, pur se tutto sommato fortunata, scelta di tifare Juve. È ora di fare outing.
Da bimbo ero innamorato di Barbie. Le sue forme sinuose, il suo seno da quarta spinta, provocavano in me l’affiorar di nobili sentimenti. Quando la mia sorellina e le sue amichette tiravano fuori la scenografia entro cui far vivere le loro bamboline, con finto menefreghismo mi appropinquavo nei pressi cercando di sbirciare le evoluzioni delle splendide bionde. Ca va sans dire, la “disinteressata” attenzione del sottoscritto raggiungeva il suo apice al mitico momento dello scambio dei vestitini fra le varie bamboline. Proponendomi come esperto di moda e sarto di haute couture, cercavo di essere accettato nella cerchia dei giochi. I risultati erano scarsi, evidentemente ahimè ero pogo gredibile ….
Ma come sappiamo tutto ha una fine. L’infausta e frojdiana trappola scattò all’improvviso, iniziandomi così alle crudeltà e ingiustizie del mondo: Spuntò Ken.
L’infame e pettoruto pezzo di plastica con le fattezze da belloccio, probabilmente regalato a una delle bimbe da inconsapevoli ma comunque colposi genitori, prese come copione vuole le parti dell’amore predestinato della bella ma comunque bastarda Barbie. Caso volle che Ken, ammasso di muscolatura più o meno informe, si presentò con una maglia a strisce nere e azzurre, non ricordo se direttamente riconducibili alla maglia della seconda squadra di Milano o a causa di uno scherzo beffardo del destino e dei padri giocattolari del pupazzo suddetto. Fatto sta che il mio odio per il fidanzato di Barbie si propagasse senza freni verso i colori della sua mise.
D’altro canto, erano quelli gli anni in cui ogni essere umano dotato di un minimo di intelletto fa la scelta più importante della sua vita (a pari merito con quella, da compiere più avanti negli anni, su quale moto comprare non appena maggiorenne): scegliere la squadra di calcio da tifare.
La spiacevole esperienza ludica di cui sopra mi ha guidato così, in un gioco psicologicamente perverso quanto un film di Shaymalan, verso i colori opposti all’orribile nerazzurro, quel bianconero pregno di sabauda eleganza (!) che mi ha accompagnato per il resto della mia vita.
Come nelle favole dunque, tutto ha avuto un lieto fine. Mi tocca ringraziare la mamma, il destino e Ken che mi hanno fatto gobbo fino al midollo.
PS: le bionde non mi piacciono più. Gli interisti et similia invece li schifo sempre.
SALVADOR
Premessa.
Juventini non si diventa, si nasce.
Già, perché a dispetto di quanto sostengono in molti, non è facile tifare Juventus: dovunque tu sia gli altri tifosi non ti vedranno mai di buon occhio, per usare un eufemismo; saranno sempre lì a insinuare, a romperti le scatole, a fare battute e tu non sarai mai pienamente libero di tifare, esultare o di festeggiare una vittoria perché loro troveranno sempre il modo per rovinarti la festa, in nome di una rivalità che loro ritengono storica e che tu manco conosci (questo vale se sei nato a Firenze o a Roma, Napoli, Bergamo, Bologna, Cagliari, Verona e financo a Udine).
E non basteranno mai tutte le vittorie del mondo, se non hai le spalle larghe, se non hai i colori bianconeri nel DNA alla fine non reggi e i casi sono due: o ti disinteressi del calcio o, peggio ancora, diventi un dajuventino, uno di quelli che ammira Zanetti, Totti e cita Travaglio quando si parla di calciopoli.
Comunque, tornando in tema, da un paio di anni quando mi chiedono perché tifi Juventus, nonostante sia nato e vissuto a Firenze, rispondo sempre “Perché mi faccio i cazzi miei”.
Prima argomentavo, poi da quella volta che me lo domandarono aggiungendo alla fine “Eppure sei anche una persona onesta” capii che era solo fiato sprecato e passai alla versione ridotta.
Stavolta però farò un’eccezione.
Perché sono diventato tifoso della Juve?
Perché vengo da una famiglia gobba, quindi ho sangue bianconero nelle vene: nonno, babbo, fratello maggiore tutti juventini, chi ero io per non proseguire questa sacrosanta tradizione di famiglia?
Perché ho scoperto il calcio con i mondiali di Spagna e, benché qualcuno all’epoca cercasse di convincermi che i giocatori della Fiorentina furono fondamentali per la vittoria finale (“Senza il gol di Graziani al Camerun saremmo tornati a casa!”), ero abbastanza sveglio da capire chi davvero fosse stato importante.
Perché in quella nazionale c’erano Zoff che sollevava la Coppa del Mondo, Scirea il difensore che usciva a testa alta con la palla al piede, Gentile il mastino che strappava la maglia a Zico, l’urlo di Tardelli, le sgroppate di Cabrini e i gol di Rossi, e tutti giocavano nella Juve.
Perché poi arrivò Platini e scoprii il senso del bello nel calcio.
Perché mi stavano sulle palle Passarella e Bertoni.
Perché a scuola i fiorentini facevano i bulli dandomi del coniglio bianconero, ma io sullo zaino avevo scritto in bella evidenza “Fighters” e “Drughi bianconeri” e una volta arrivai a educazione fisica con la maglia bianconera (ricevendo un’amichevole scarica di botte dai 26 compagni di classe).
Perché non ho mai sopportato di concentrare una stagione intera in una sola partita, a patto che non fosse una finale di coppa.
Perché non ho mai riso sulle battutine da tre soldi sulla Juve che ruba.
Perché ho poco senso dell’umorismo e sono molto permaloso.
Perché, in sintesi, sono un gobbo di merda nell’animo.
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