Salterei i preamboli emotivi: la delusione, lo scoramento, li do per scontati; e la mia personale perplessità sulle chance di vittoria finale (manifestate già dopo Juve-Valencia) e il mio pessimismo sull’Atletico fin dal sorteggio si riflettono, giustamente, solo sulla mia serenità, ma non posso pretendere siano condivisi.
Dunque una sconfitta amara, senza attenuanti nei modi e nelle forme, e che mette anche il più inguaribile ottimista (categoria cui non appartengo) a disagio nel pensare a un ribaltamento. Resta la possibilità astratta che alcune almeno delle considerazioni che seguono si rivelino infondate: me lo auguro vivamente.
Con ordine: 1) se andrà come è probabile, si tratterà di un fallimento. Ho letto, sul tema, una serie di disquisizioni semantico-linguistiche, che non mi hanno convinto. Poi si potrà cavillare se sia “fallimento” specifico o “stagione fallimentare”: io, salvo ulteriori e improbabili cataclismi, propendo per il primo, ma sempre fallimento è.
2) se c’è un fallimento, qualcuno paga: è norma e prassi che si cominci dall’allenatore, e non c’è motivo di fare eccezione. Lascio qui, agli atti e comunque vada, la gratitudine e la stima per Allegri e per quello che ha fatto, il rimpianto certo e imperituro per il suo modo di vivere il calcio, sgonfiandone con ironia le perniciose bolle di Enfasi, di Retorica, di Maiuscole così italiane: in questo, lui italianista per concezione, assolutamente eccentrico. Però, lo dico da Allegriano, il ciclo è da considerarsi finito, persino (che dico: a maggior ragione) se accadesse il miracolo e si vincesse alla fine: ha smesso di crederci anche lui.
3) mi auguro però che la società non aderisca alla linea, molto diffusa nella tifoseria, per cui abbiamo “una Ferrari” con solo un pilota inadeguato: sarebbe un errore sciagurato e foriero di ulteriori delusioni. La squadra ha limiti, incompiutezze, equivoci a mio parere gravi a partire dal centrocampo. Su quanto e come ad alcuni di essi Allegri avrebbe potuto e dovuto porre rimedio la discussione durerebbe all’infinito, con argomenti anche plausibili; e, no, la rosa non è stata gestita bene. Ma negare in radice che tali limiti esistano sarebbe sbagliato. Se si cambia solo allenatore senza ristrutturare in modo profondo (e con una visione coerente) la squadra il risultato europeo non cambierà. Coerenza non significa dogmatismo (che rifiuto e combatto) ma linearità: se si hanno le ali, si giochi sulle ali e il centrocampo sia allestito di conseguenza; se il cc è a 3 si individuino (non è difficile, ci riesco persino io) le costanti nei modelli di maggior successo, e si agisca di riflesso; se si sceglie di affiancare a Ronaldo una “torre” si abbiano le torri, e si sacrifichi chi non lo è; o il contrario. E così via. La duttilità è una ricchezza, l’eclettismo esasperato e sempre a un passo dal degenerare in sperimentalismo per il gusto di, alla lunga è un limite.
4) chiudo (su tante altre cose ci sarà tempo e modo, e si tornerà) su un punto che mi sta a cuore. Malgrado l’acquisto di Cristiano Ronaldo, non mi sembra che TUTTA la macchina Juventus si sia messa seriamente nell’assetto “la Champions come obiettivo”: non l’allenatore (che pure per qualche tempo lo è stato da solo); non i giocatori, specie quelli più esperti, ricaduti puntualmente nelle ataviche incertezze, negli ancestrali limiti; ma nemmeno la società. Mi pare che aleggi, inestirpabile, l’idea che la vittoria della Champions non sia pianificabile. Il che è vero alla lettera, ma non nella sostanza, se per “pianificare” (ferma restando l’alea) si intende impostare metodologicamente la stagione, la preparazione, la rotazione dei giocatori, la parte psicologica, la comunicazione etc. dando priorità alla CL; il che vuol dire (estremizzo) che se sabato c’ho Inter-Juve e mercoledì Young Boys-Juve, al diavolo Inter-Juve. In questo senso l’intero ambiente non è “maturo”: quando perdemmo a Manchester al Milan demmo 15 punti di distacco e ai milanisti non importava sostanzialmente un tubo, noi ci spacchiamo il fegato per un 3-3 casuale in un anno da imbattuti in Italia: è a un tempo il nostro pregio e la nostra condanna. Ed è la società a dare l’impronta all’ambiente. Non è l’assoluzione di nessuno, o una condanna annacquata: è un tema. E però se solo 3 volte delle 12 in cui un’italiana ha vinto la coppa dei campioni ha vinto anche lo scudetto (e parliamo delle squadre più forti di tutti i tempi, l’Inter di Herrera, la Juve di Platini, il Milan degli olandesi e degli Invincibili) qualcosa vorrà pur dire. Basterà un allenatore a farci sintonizzare, tutti, sulla frequenza giusta?
Certo, c’è sempre il miracolo. Su questo (trailer) seguirà, se il sito avrà la bontà di accettarlo, un altro più breve pezzullo.
Forza Juve
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