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La quiete dopo la tempesta

Sono passati due giorni dalla tempesta che ha travolto l’ambiente juventino addì 15.7.2014; una data che entrerà di diritto nella memoria di tutti i tifosi (accanto a quella, altrettanto nefasta, del 14.7.2006) perché al secondo giorno di ritiro precampionato, mentre sui media, sui social, sui forum si discuteva se Iturbe potesse fare al caso nostro, se con Evra saremmo passati alla difesa a 4, se Morata fosse l’ultimo tassello della campagna acquisti, è arrivato il “tornado” (altro che fulmine) a ciel sereno: Antonio Conte, il capitano, il condottiero che c’aveva portati a “riveder le (tre) stelle” annunciava in un video il suo addio alla Juve.

Il mondo bianconero si è ritrovato in un attimo al tappeto come un pugile che subisce il classico colpo da KO senza nemmeno comprendere da dove sia arrivato. Non poteva essere vero; non doveva essere vero. Ed invece, purtroppo, era tutto terribilmente reale. Fiumi di inchiostro, com’era prevedibile, sono stati gettati in queste 48 ore sui motivi che hanno spinto società ed allenatore a separarsi.

Cercando di analizzare con un minimo di razionalità la vicenda, si può subito porre (a modesto parere del sottoscritto) un punto fermo, ovvero che non è colpa di Agnelli o di Marotta, non è colpa di Conte: la responsabilità è di tutti indistintamente. La storia tra il mister e la Signora doveva terminare a maggio, quando è parso chiaro a tutti che il tecnico leccese “non ne aveva più”. Le frasi sull’impossibilità di cenare al ristorante da 100 euro con appena 10 euro, riferito al palcoscenico europeo, sulla impossibilità per la rosa attuale di ottenere di più rispetto a quanto realizzato erano messaggi fin troppo chiari. La società avrebbe dovuto liberarlo oppure lui avrebbe dovuto dimettersi ma qualcuno dei due doveva fare il passo decisivo.

Invece no. Si è scelta una soluzione di compromesso, andare avanti sino alla scadenza naturale del contratto, che ha prodotto lo “scempio” dell’altro ieri; Conte non è andato via il 15 luglio, quel giorno l’ha fatto solo fisicamente perché con la testa non c’era già più da tempo, solo così si può spiegare ciò che non si è mai visto nella storia del calcio, tantomeno in quella juventina, ossia che l’allenatore molli tutto al secondo giorno di ritiro, dopo non aver nemmeno presenziato alla conferenza stampa di inizio stagione.

Molti asseriscono che fosse tutto preparato, prendendo spunto dalla notizia apparsa proprio martedì sul sito ufficiale inerente la chiusura trionfale della campagna abbonamenti. Qualora così fosse, sarebbe una porcata di portata ancora maggiore della rottura in sé; tuttavia, credo che la Juve sia stata realmente colta di sorpresa, altrimenti avrebbe potuto annunciare il nuovo allenatore un minuto dopo ma ciò, in ogni caso, non esonera la dirigenza dalle responsabilità sopracitate, cioè trattenere il tecnico a tutti i costi sino a maggio 2015.

In tutto questo l’unico risultato ottenuto da dirigenti ed allenatore è stato spaccare la tifoseria in due fazioni “pro Conte” e “pro Società”, un tutti contro tutti di cui, onestamente, non si sentiva il bisogno perché le uniche “vittime” in questa situazione sono (sempre) i tifosi che si sentono persi, che temono di ripiombare nell’oblìo post-farsopoli, che non ci guadagnano mai nulla eppure sono i primi a rimetterci in nome di quella passione smisurata che li lega ai colori bianconeri. Nessuno dei protagonisti si è degnato di rivolgere una sola parola ai sostenitori: né Agnelli, né Conte l’hanno fatto, pur essendo i due pilastri della rinascita ed in cui tutti si identificavano.

In particolare, un gesto dal mister sarebbe stato apprezzato, atteso l’amore viscerale che la gente gli ha tributato sin dal primo giorno che ha messo piede a Vinovo. Nessun altro tecnico ha ricevuto il trattamento che è stato riservato a lui, nemmeno Lippi che pur qualcosina in più ha vinto. Ci si chiede come abbia potuto “tradire” in questo modo i tifosi. Certo è che il modo e la tempistica con cui ha chiuso la porta lasceranno una macchia indelebile nel popolo juventino che indubbiamente non dimenticherà mai i suoi trionfi però un po’ di amaro in bocca lo proverà sempre.

Adesso, arrivata la quiete dopo la tempesta, è il momento di voltare pagina e di guardare avanti, Conte è un capitolo chiuso (eh già); si è insediato un nuovo allenatore che non suscita per nulla gli entusiasmi della folla, com’è comprensibile visti i suoi trascorsi. Almeno, però, non si faccia l’errore commesso in passato con Ancelotti, lo si lasci lavorare e solo alla fine si valuti il suo operato. D’altronde, chiunque fosse stato chiamato a sedere sulla panchina dell’allenatore salentino avrebbe raccolto un’eredità mostruosa, ora amplificata dagli ultimi eventi.

Forza ragazzi, non c’ha ucciso il 14 luglio 2006, non ci ucciderà il 15 luglio 2014.

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