

Per calmierare il mercato e renderlo sostenibile, sarebbe opportuno pensare di affiancare al Financial Fair Play un altro sistema, complementare ad esso, in grado di stabilire un tetto massimo di spesa entro la quale le squadre iscritte alle competizioni europee (come la Champions League) siano obbligate a operare, quello che negli sport professionistici americani viene chiamato Salary Cap. In effetti si parla tanto del FFP come panacea di tutti i mali del calcio moderno, ma come più volte sottolineato il FFP è una norma anti debiti, non una norma anti ricchi. In effetti ne abbiamo appena avuto un’ulteriore prova, chi ha i soldi può tranquillamente spenderli come gli pare aggirando le regole del FFP: Neymar paga la clausola rescissoria al Barcellona “di tasca sua” e successivamente una società di proprietà di Al Thani, patron del PSG, lo “assume” come testimonial per i Mondiali di Calcio 2020 a una cifra astronomica, in grado ovviamente di coprire (e superare) i 222 milioni dovuti al club catalano. Di fatto Neymar arriva a Parigi a parametro zero, e il PSG non sarà costretto ad ascrivere a bilancio l’ammortamento del cartellino, che pertanto non andrà nemmeno ad incidere ai fini del FFP.
Nulla ci vieta di pensare che operazioni del genere possano ripetersi in futuro, né che la stessa modalità di acquisto utilizzata da uno sceicco, che i soldi li ha, possa essere sfruttata da altri soggetti, con operazioni ancora meno limpide, con capitali più o meno reali provenienti da chissà dove. Vediamo quindi come funziona il meccanismo del Salary Cap, se e come può essere utile, quali vincoli e limitazioni comporta e come la sua applicazione potrebbe migliorare il calcio europeo.
Cos’è il Salary Cap
Il Salary Cap, nelle leghe pro americane, è il tetto massimo che ogni franchigia (squadra) può spendere annualmente per pagare gli stipendi ai giocatori presenti nel roster (rosa). L’obiettivo è quello di consentire a tutte le squadre di poter competere allo stesso livello, almeno virtualmente, e quindi di aumentare la competitività media della lega, poiché tutti i partecipanti dovranno rispettare gli stessi vincoli economici.
Le regole relative al Salary Cap vengono stabilite di comune accordo tra la lega e i giocatori, quindi la prima domanda che ci viene in mente è relativa proprio a questi ultimi: cosa ci guadagnano in un sistema che prevede una limitazione del monte stipendi? Innanzitutto va sottolineato che il Salary Cap negli sport pro è in costante aumento, poiché le leghe hanno sempre lavorato in maniera egregia per ottenere un costante incremento degli introiti. Ma uno degli aspetti che passano inosservati è che il Salary Cap prevede anche un monte salari minimo (Salary Floor) da raggiungere se si vuole partecipare alla competizione. Potete capire come la limitazione delle liste imposta dalla UEFA, unita all’introduzione del Salary Floor, farebbe felici anche i procuratori; per fare un esempio lo stipendio medio di un giocatore NBA è di oltre 5 milioni di dollari all’anno. Se si tiene conto che l’accesso alle competizioni UEFA garantisce svariati milioni da market pool e altri introiti da sponsorizzazioni, sarebbe facile per le partecipanti garantire il Salary Floor necessario.
Ci sono due tipologie fondamentali di Salary Cap, ovvero l’Hard Cap e il Soft Cap. In regime di Hard Cap (NFL, MLB, NHL, MLS) il tetto salariale non può essere superato per nessun motivo e non esistono eccezioni, mentre il Soft Cap (NBA) garantisce una certa flessibilità, con innumerevoli eccezioni e possibilità di “sforamento” del cap stesso, a determinate condizioni.
Si può applicare il Salary Cap nel calcio europeo?
Se si volesse esportare il modello del Salary Cap nelle competizioni UEFA (Champions League, Europa League) si dovrebbe senza dubbio prendere in considerazione un modello ispirato al Soft Cap NBA, il quale ad esempio consente di tutelare i rinnovi di giocatori simbolo di una franchigia, con la possibilità, in questo caso specifico, di oltrepassare il tetto previsto, a differenza dell’Hard Cap in cui non c’è discriminazione in tal senso e il cap deve comunque essere rispettato.
Le differenze principali tra gli sport pro e le competizioni europee, oltre alla presenza del Salary Cap, sono due:
- sistemi chiusi a promozioni e retrocessioni
- immissione nelle leghe di giocatori esordienti tramite draft (lotteria)
Questi vincoli di fatto impediscono la compravendita di giocatori. Pensateci. Chi comprerebbe un atleta che va a gravare sul Salary Cap senza cedere atleti con ingaggi che possano liberare spazio nel cap? Ma soprattutto chi venderebbe un giocatore del proprio roster senza poter reinvestire sul mercato la somma incassata? Queste norme fanno sì che le società siano costrette a modificare le rose tramite lo scambio di giocatori, nell’ambito del quale possono rientrare anche future scelte nei draft.
E qui casca l’asino, nel senso che pensare di abolire il calciomercato, per passare a un sistema di scambio puro, va oltre l’utopia. Sì perché il sistema calcio è un sistema basato per una cospicua parte sulle plusvalenze, senza le quali verrebbe meno la sostenibilità complessiva del calcio stesso. Eliminare le plusvalenze e le maxi commissioni (dietro cui spesso si celano le TPO) dall’oggi al domani è una strada difficilmente percorribile.
La soluzione potrebbe essere quella di considerare come parametro non il monte ingaggi, ma il dato complessivo formato dagli ingaggi e dai costi dei cartellini, quella che Andrea Agnelli ha definito spesso come “potenza di fuoco”. In altre parole ogni squadra dovrebbe contenere entro un limite massimo la spesa formata dagli ingaggi lordi più gli ammortamenti annui dei cartellini, riguardanti i calciatori in lista UEFA. Chiamiamolo per comodità UEFA Cap.
Da questo punto di vista un ulteriore ostacolo all’applicazione del Salary Cap europeo è rappresentato dai differenti regimi fiscali in cui operano i club. Si potrebbe ovviare a questa problematica applicando all’UEFA Cap un moltiplicatore differente per ogni Stato, proporzionale al regime fiscale. Un ipotetico Uefa Cap verrebbe quindi calcolato nel seguente modo:
UEFA Cap = A+(S*c)
dove:
A = ammortamenti annui
S = salari lordi annui
c = coefficiente dovuto al regime fiscale, differente per ogni Paese
(In realtà bisognerebbe inserire un coefficiente anche su A, proporzionale alle tasse dovute nelle compravendite di giocatori tra i diversi Paesi, ma per semplicità possiamo trascurarlo in questa sede n.d.r.)
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Esempio:
Il Paese “X” ha una pressione fiscale tale che un ingaggio annuo di 10 milioni netti equivale a 15 milioni lordi. Nel Paese “Y”, in cui il costo del lavoro è maggiore, lo stesso ingaggio di 10 milioni di euro all’anno netti, costa al club 20 milioni di euro lordi, 5 in più rispetto al Paese X. Infine, nel Paese “Z”, lo stesso ingaggio costa al club 25 milioni di euro lordi, addirittura 10 in più rispetto al club del Paese X. Per fare in modo che, ai fini dell’UEFA Cap, l’ingaggio abbia lo stesso “peso” in X, Y e Z, dobbiamo moltiplicarlo per un valore massimo nei Paesi con minore tassazione e minimo nei Paesi con tassazione più elevata. Chiamando tale coefficiente “c”, con un facile calcolo avremo:
25*cZ = 20*cY = 15*cX
Se poniamo cZ = 1 (poiché dal punto di vista fiscale Z è il Paese più svantaggiato) otteniamo:
25 = 15*cX => cX = 25/15 => cX = 1,67
25 = 20*cY => cY = 25/20 => cY = 1,25
In altre parole abbiamo eguagliato il peso degli stipendi nel Paese X, nel Paese Y e nel Paese Z, in modo che ai fini dell’Uefa Cap tutti e tre i club abbiano potenzialmente la stessa possibilità di spesa massima.
Infatti 20*cY = 25 così come 15*cX = 25.
In questo esempio il Paese Z può spendere un ammontare di stipendi pari a S, mentre il Paese Y deve moltiplicare tutti gli stipendi lordi per 1,25 e il Paese X deve moltiplicare tale somma per 1,67 e questi ultimi devono rispettare comunque il tetto massimo di spesa.
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Con questo “stratagemma” si ottiene il duplice effetto di calmierare il mercato e permettere che le squadre costrette a pagare più tasse, ad esempio le italiane, acquisiscano maggiore competitività. Infine la conditio sine qua non per l’applicazione del Cap è quella di stabilire il limite minimo e il limite massimo degli ingaggi individuali, anche per fasce d’età, nonché la durata massima dei contratti, senza i quali non ha senso parlare di Cap.
Il calcio dei ricchi: Salary Cap, Luxury Tax, Apron
Fin qui ci siamo limitati ad analizzare il concetto di Soft Cap dal punto di vista generale, elencando i principi fondatori di questo particolare sistema, il quale però non penalizza assolutamente chi ha maggiori capacità di spesa, tutt’altro. In alcuni casi che vedremo in seguito è assolutamente possibile superare il Cap senza incorrere in sanzioni di alcun tipo.
Si può ulteriormente superare la fascia di spesa relativa alle eccezioni consentite, incorrendo in una penale chiamata Luxury Tax, proporzionale alla cifra di cui si è ecceduto: più si “sfora” più è alta la tassa. Per fare l’esempio dell’NBA, dalla prossima stagione le franchigie che supereranno la soglia prefissata per la Luxury Tax dovranno versare alla lega 1,5 $ per ogni dollaro in eccesso, aumentati di 1 $ se la franchigia è “recidiva” (repeater). Superati i 5 milioni di dollari di eccesso la tassa diventa 1,75 $ (2,75 $ per i recidivi) per ogni dollaro, superati i 10 milioni 2,5 $ (3,5 $ per i recidivi) e dai 20 milioni in su 3,75 $ (4,75 $ per i recidivi) fino ad arrivare ai 20 milioni, più ulteriori 0,5 $ per ogni dollaro di aumento ogni 5 milioni oltre i 20 di sforamento. Per ogni fascia di sforamento è, inoltre, previsto un valore massimo della Luxury Tax.

La Luxury Tax nell’NBA per la stagione 2017/2018
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Esempio:
Se una squadra sfora la soglia della Luxury Tax di 15 milioni dovrebbe pagare 37,5 milioni di Luxury Tax, 52,5 milioni se anche nell’anno precedente ha varcato tale soglia, pagherà quindi il valore massimo per la fascia dai 10 ai 20 milioni di sforamento (circa 16 milioni, 21 se recidiva).
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La Luxury Tax, da un certo punto di vista, tutela i “ricchi” e dà loro la possibilità di spendere, ma che fine fanno i soldi versati? Nella NBA il 50% degli introiti da Luxury Tax viene girato alle franchigie che non incorrono in questa particolare sanzione (quindi vengono premiati i club virtuosi), mentre il restante 50% viene utilizzato per iniziative benefiche e per il cosiddetto “Revenue Sharing”, un programma di ridistribuzione degli introiti alle franchigie economicamente più fragili che ad esempio potrebbero non riuscire a rispettare la spesa minima prevista (Floor).
Vi è, infine un limite oltre il quale si incorre in sanzioni più severe (blocco del mercato, passaggio all’Hard Cap e altre restrizioni), che viene chiamato Apron. Le squadre che si trovano oltre il limite dell’Apron sono costrette, ad esempio, a rescindere i contratti dei propri giocatori fino ad un ammontare che consenta di rientrare sotto tale soglia.
Eccezioni al Salary Cap, casi particolari, “Clausola Neymar”
Come detto il Soft Cap consente di avere un certo margine di manovra, prima che il regolamento intervenga con sanzioni, più o meno pesanti, ai danni di chi è troppo “spendaccione”. Proviamo a “trasportare” le eccezioni previste dal sistema americano in un ipotetico Soft Cap applicato al calcio.
- Le “bandiere”: le società hanno la possibilità di rinnovare i contratti a scadenza di giocatori che militano da tanti anni tra le proprie fila, con durata contrattuale massima prefissata e con ingaggio a crescere di una percentuale massima prefissata, anche se si supera il limite di spesa previsto dal Cap. In questa casistica rientrerebbero, ad esempio, giocatori come Marchisio, Buffon e Chiellini.
- Giocatori “chiave”: le società possono rinnovare i contratti a scadenza di quei giocatori che, pur non essendo vere e proprie bandiere, si trovano in rosa da diversi anni, a condizioni meno vantaggiose (per il club) rispetto alle bandiere (durata contrattuale massima inferiore, percentuale di incremento dell’ingaggio inferiore, incidenza percentuale sul Cap maggiore), anche in questo caso con la possibilità di superare il Cap.
- Altri giocatori: i club hanno la possibilità di rinnovare i contratti di tutti gli altri giocatori a condizioni ulteriormente restrittive riguardo durata contrattuale e percentuale di incremento; i “ritocchi” incideranno sul Cap in percentuale inferiore rispetto, ad esempio, ai contratti di giocatori appena acquistati, maggiore rispetto alle bandiere e ai giocatori chiave.
- Giocatori dal vivaio: i contratti dei giocatori cresciuti nelle giovanili (CTP Uefa), come Kean o Donnarumma, potrebbero essere rinnovati a condizioni vantaggiose per le società che ne detengono il cartellino, ad esempio andando ad incidere sul Cap in percentuale molto ridotta rispetto ai contratti “ordinari”.
- Svincolati: i cosiddetti free agent, i nostri parametro zero, possono essere ingaggiati senza che il loro stipendio gravi sul Cap ai fini del pagamento della Luxury Tax, fino a una certo numero di anni di contratto; una volta terminati questi benefici lo stipendio degli ex svincolati andrà a incidere sul Cap come tutti gli altri.
Questo, chiaramente, è più o meno ciò che avviene negli USA ed è suscettibile di modifiche e rielaborazioni funzionali al sistema europeo. Fin qui abbiamo parlato degli ingaggi, ma come detto in precedenza nel calcio, rispetto agli sport d’oltreoceano, esiste il calciomercato e i costi dei cartellini vanno inseriti nei bilanci dei club sotto forma di ammortamenti.
Questo meccanismo valorizza le squadre che puntano sui vivai, poiché un calciatore cresciuto nelle giovanili non ha costo di cartellino, ma in generale le rose vengono costruite con la compravendita di calciatori. Per fare un esempio, se un calciatore viene acquistato per una cifra di 10 milioni di euro con un contratto quinquennale, l’ammortamento annuo a bilancio sarà di 2 milioni. Questa cifra è data dal costo del cartellino diviso numero degli anni di contratto (in questo caso 10/5 = 2).
La problematica legata alla clausola rescissoria e al caso Neymar è invece di difficile superamento. L’aspetto curioso, che sinceramente fa abbastanza ridere, è che a lamentarsi siano proprio i club spagnoli, inventori della clausola rescissoria e più volte sanzionati dalla UEFA per violazioni sul FFP, comprese questioni legate alle TPO, ma questa è un’altra storia. Le strade sono due: o si abolisce l’istituto della clausola rescissoria o si pone un tetto alla clausola, inserendo una normativa specifica per cui chi ingaggia un giocatore vincolato da clausola si assumerà i costi relativi alla clausola stessa, al di là di chi l’ha pagata. Nel caso di Neymar il PSG dovrebbe considerare, ai fini del Cap, anche gli ammortamenti relativi ai 222 milioni di clausola pur non avendoli versati direttamente nelle casse del Barcellona. Insomma sarebbe “salvo” dal punto di vista del FFP ma avrebbe notevoli difficoltà nella gestione dell’Uefa Cap.
Come si arriva al Salary Cap: vantaggi, svantaggi, problematiche
La prima cosa da fare per introdurre una normativa che ponga un limite agli eccessi e favorisca la sostenibilità del calcio è, ça va san dire, sedersi attorno a un tavolo e discuterne. In realtà, da quello che filtra, nelle alte sfere dell’UEFA sembrerebbero vedere di buon occhio questo tipo di intervento e ci starebbero ragionando.
I principi, la struttura, le normative, le eccezioni e quant’altro, tra i pro vengono stabilite di concerto da tutte le parti in causa: lega, franchigie, giocatori, procuratori e sindacati vari. Prima dell’inizio di ogni stagione, inoltre, la lega (in rappresentanza delle franchigie) e il sindacato dei giocatori si riuniscono per stabilire le soglie (floor, cap, luxury tax, apron) ed eventuali modifiche al regolamento sul Salary Cap (nuove clausole, eccezioni), in base a parametri quali ad esempio gli introiti della lega stessa. Spesso in queste sedi non si riesce a raggiungere un accordo che accontenti tutte le parti e si arriva al lockout, ovvero il rinvio dell’inizio della stagione a data indefinita.
Infine non si deve pensare che l’introduzione di un tetto debba necessariamente diventare una mera restrizione . Piuttosto è un modo per porre un freno a pericolose escalation come quella che stiamo vivendo attualmente: pensiamo al rinnovo di Donnarumma, o appunto a Neymar.
In questo lungo excursus abbiamo preso come punto di riferimento la NBA, proprio perchè il Soft Cap sembra essere, per flessibilità, un modello più consono se applicato alle dinamiche del calcio europeo, rispetto all’Hard Cap. Per la prossima stagione il salary cap NBA sarà di 99 milioni di dollari (87 milioni di euro circa) mentre la soglia della Luxury Tax sarà di 119 milioni di dollari (101 milioni di euro). Bisogna considerare che in questo caso parliamo solo di stipendi (mentre nel calcio ci sono anche gli ammortamenti), che a basket si gioca in 5 (a calcio in 11) e che le rose NBA sono composte da 12 giocatori (nel calcio da circa 25): facendo un rapido calcolo, in una franchigia NBA che arriva alla soglia del salary cap i 12 giocatori in rosa guadagnano in media 7,25 milioni di euro. Se trasportassimo questa cifra su una rosa di 25 calciatori avremmo un monte salari di 181,25 milioni di euro, ai quali va aggiunta la parte relativa agli ammortamenti per formare il nostro Uefa Cap. Insomma stiamo parlando di limitazioni ma non proprio noccioline.
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