

“La Juve entra in una nuova dimensione? No, come prima conta vincere. Siamo qui per questo. Non c’è una ricetta su come vincere o perdere, se ci fosse l’inventore sarebbe ricchissimo. La scelta non è per questo. Abbiamo fatto una scelta pensando che la spinta propulsiva data dall’alchimia che si era creata tra allenatore, squadra, società e tifosi potesse affievolirsi un po’ e quindi abbiamo deciso di prendere questa decisione. Non è stato un motivo dettato nè dal gioco nè dai risultati, che sono sotto gli occhi di tutti.”
La dichiarazione di Paratici è datata 20 giugno 2019, durante la presentazione ufficiale di Sarri come nuovo allenatore della Juventus. Parole riassumibili in due concetti due:
- vincere, non importa come;
- Allegri aveva chiuso.
In pratica, decontestualizzando, le due stelle polari del gobbismo incarnato da Andrea Agnelli: c’è una sola cosa che conta & tutti utili e nessuno indispensabile. Qui. Mai successo che la dirigenza discutesse se meglio una o due punte, di bel gioco o di difesa a tre, come capita altrove. Per contro, a queste latitudini, il tecnico che chiede pubblicamente tabula rasa o carta bianca sta cercando, in coscienza o meno, la porta.
Quindi, tornando all’oggi, dopo otto mesi è tempo di capire se stia vincendo la rivoluzione, la contaminazione o il reazionismo. Serve ripercorrerli un attimo.
Nel precampionato il neo mister rilasciò due dichiarazioni di intenti significative. Alla vigilia dell’esordio stagionale col Tottenham disse che la sua impostazione si basa sullo sviluppo del gioco nei primi 70 metri e che negli ultimi 30 è aduso lasciare l’interpretazione del match ai giocatori; affermazione poi ribadita più volte e ripresa dopo la semifinale d’andata di Coppa Italia in cui lamentava il fatto che, nonostante nei famosi primi 70 metri si fosse fatto benino, negli ultimi 30 gli interpreti liberi e belli abbiano invece sbagliato molto. Degli schemi senza l’acca, in pratica. L’altro proposito che fece discutere in estate riguardò l’idea della ricerca costante, quasi dogmatica, dell’equilibrio (cosa cosa?!?); escluso più volte il tridente pesante come modulo di riferimento, Sarri ha trasmesso durante la stagione, pure costantemente, il concetto che serve bilanciare le caratteristiche offensive degli 11 con quelle difensive, sulla base delle attitudini dei calciatori. Ovvietà che gli ideologici totalitari considerano eresie.
Una breve parentesi sul mercato: abbiamo ceduto Cancelo e s’è provato a vendere Dybala. Al di là del merito, non due operazioni in linea con la narrazione guevarista del “tutti avanti che tanto andiamo in porta col pallone”. Vincolati da anni a plusvalenze obbligate, per di più, si è scoperto che la strategia di calciomercato tenda a padroneggiarla il club: ben svegliati, cari sessantottini da playstation.
Venendo alle scelte di campo, si è partiti con un bel Khedira-Matuidi titolarissimi per mesi, a scuotere le coscienze. Ordine e disciplina. Fino al sopraggiungere di cause di forza maggiore, ultima delle quali il Rabiot che Sarri dipinge recentemente come “in evoluzione, migliora in fase difensiva ed è affidabile”. E aridaje.
Tatticamente si è ondeggiato tra il tridente leggero e la ricerca, vana, di un vertice alto del rombo decente. Nei soliti, ultimi, trenta metri, c’è stata molta nebbia (Rest In Peace schemi). Tuttora Ramsey e Bernardeschi sono state le delusioni stagionali. Quella che sembrava inoltre potesse essere la spina dorsale, cioè Bonucci-Pjanic-Higuain, appare oggi fortemente depotenziata dalla mollezza burrosa nel 2020 del bosniaco e del Pipa e dal calo di Bonucci, spostato da tempo sul centrosinistra.
Gli infortuni sono grosso modo numericamente allineati alle ultime tre o quattro stagioni e la condizione fisica generale pure. Nel senso che per individuare un perno, una base, una colonna, un cardine, un pilastro, un cuore (sinonimi finiti) del progetto tattico, occorrerebbe innanzitutto considerare le succitate variabili. Non sto solo parlando di Douglas Costa (a proposito… Ti aspettiamo Flash! S03E04 ) ma del fatto che è irrealistico pensare si possa andare a mille per tutta la stagione. E la nostra comincia ora.
Alla 24^ giornata, per quanto riguarda i risultati, nel primo anno del precedente ciclo la Juventus aveva ottenuto 57 punti in campionato, una Coppa Italia e una Champions League da giocare, esattamente come ora. In campionato aveva segnato 5 gol in più di quest’anno (51 vs 46) e aveva subito 10 gol in meno (13 vs 23). In quest’ultimo aspetto emerge la differenza sostanziale, visibile anche a occhio nudo: subiamo troppo in serie A, la fragilità è palese e in ottica scudetto è notizia peggiore della parziale sterilità offensiva. Terminando il confronto con l’annata 2014/15 sono cambiate le aspettative, c’è il GOAT in rosa ma soprattutto si nota l’assenza di Chiellini e Barzagli; e stavolta c’è la Lazio a -1 e non la Roma a -10. Ciò nonostante direi che è inutile negarlo: la percezione di molti tifosi, tolti quelli che si sono giocati la loro vita sociale (e social) sul successo del cambio in panchina, è di (quasi) fallimento, attualmente. Ma non coincide con la realtà appena rappresentata.
Certo, siamo in trepida attesa di una scintilla, di ali che ci facciano spiccare in volo verso il sogno. Sarebbero opportune anche mezze ali che ogni tanto (ogni poco sarebbe meglio) spaccassero la porta, per esempio. Il fattore “pancia piena” sulla A, che ha contagiato uno Stadium indegno, va messo nel cassetto dei ricordi al più presto. Mentre per la Champions sto con Klopp. Basta alibi.
Resta da rispondere alla domanda iniziale, anche se la risposta si sarebbe potuta trovare, col buon senso, già al tempo della presentazione. La contaminazione, in qualsiasi ambiente avvenga l’innesto di una figura apicale, è inevitabile. Chiaro che si è sempre tutti in discussione e quando si cena fuori, in certi momenti, va scelto il tavolo in vetrina. Nei prossimi tre mesi vedremo se l’effetto di cui sopra, unito alle motivazioni maggiori del gruppo, produrranno un possesso palla e una gestione dei match molto efficaci, elementi che finora si sono visti solo a tratti. E che portino all’unica cosa che conta, ovviamente.
La chiusura del cerchio, nel frattempo, l’ha data Sarri nella conferenza stampa del prepartita di SPAL-Juventus: “Il sarrismo è un’etichetta messa dall’esterno che ha una valenza quasi zero (…) perchè poi sono i giocatori individualisti a fare la differenza.”
Beh.
Forza Juve.
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