

Da due mesi ho in bozza un articolo sul marchio Juve, sulle prospettive di crescita del fatturato del club, sui diritti tv, sullo stato del calcio italiano… insomma, sulle cose di cui mi piace scrivere. Purtroppo però c’è sempre qualcosa di più stretta attualità di cui occuparsi: ieri erano le lamentele arbitrali dei soliti sconfitti, oggi è l’accusa di mafia rivolta ad Agnelli e alla Juventus.
Se pensate che io vi dica adesso come stanno le cose nel merito, potete tranquillamente smettere subito di leggere. So che molti si sono già fatti la loro idea e hanno già tratto le conclusioni definitive, io invece penso che aspetterò almeno fino a quando tutte le carte saranno scoperte.
Se ci pensate un attimo razionalmente, parliamo di alcuni anni di intercettazioni, sia telefoniche che ambientali; di migliaia di telefonate e altrettante migliaia di pagine di trascrizioni, considerazioni e deduzioni: pensare di avere un quadro chiaro desumendolo da mezza intercettazione o da una frase estrapolata ad arte è da dementi. E non è un caso che proprio i più dementi abbiano già tratto le loro conclusioni: Agnelli e la Juve sono colpevoli.
Posto che se davvero la dirigenza della Juventus fosse collusa con la mafia, io, gobbodimerda, vorrei saperlo più di tutti gli altri; esattamente come volevo sapere più di tutti gli altri se le vittorie della Juve derivassero dal doping o dagli inciuci con arbitri e designatori.
Per mio conto però, come dicevo, aspetterò fino all’alba, con pazienza e (senza) rassegnazione, esattamente come ho fatto nei casi precedenti.
Però una riflessione voglio farla subito, sulla base di quello che ho vissuto in questi anni da gobbodimerda.
Correva l’estate del 1998. Zeman denunciò: il calcio esca dalle farmacie. Il problema era annoso e stava ormai diventando insostenibile. Molte delle considerazioni di Zeman (se volete potete rileggervele qui) erano assolutamente condivisibili e riguardavano tutti. Il problema però era complesso, di difficile soluzione e creava un’immagine negativa del calcio: immagine che minacciava la sua accettabilità e quella di tutto il sistema che intorno al calcio gravita, a cominciare dai tifosi per finire col giornalismo sportivo, su carta o televisivo che fosse. In situazioni di questo genere si può reagire in due modi: domandarsi perché è stato commesso l’errore, analizzarlo e porre in essere i rimedi adeguati, oppure trovare un capro espiatorio. Ci sono diversi studi di psicologia che trattano del ruolo del “capro espiatorio” nei gruppi: se vi avanza tempo per leggerli scoprirete che sono molto interessanti. Quello del capro espiatorio è un ruolo scomodo ma molto utile: su di esso vengono infatti proiettate dagli altri membri del gruppo quelle caratteristiche che ognuno giudica indesiderabili per sé, pur possedendole a propria volta, e svolge un’azione protettiva, perché risolve situazioni altrimenti molto problematiche, che minacciano la sopravvivenza del gruppo. A nulla valse dimostrare che la Juve faceva né più né meno che quello che facevano tutti: il problema doping nel calcio si risolveva dando addosso all’untore, e così è stato. La denuncia di un malcostume è diventato subito un attacco diretto e specifico alla Juventus. Non voglio riaprire quella questione, altrimenti facciamo notte e non è questo il tema, ma una cosa desidero sottolinearla: sulle altre squadre non è stata fatta nessuna indagine, benché il problema fosse noto e generalizzato.
Correva l’estate del 2006. A balzare agli onori della cronaca stavolta sono i rapporti tra società di calcio, dirigenti, vertici arbitrali e arbitri. Il problema era annoso, stava ormai diventando insostenibile e riguardava tutti. Il problema però era complesso, di difficile soluzione e creava un’immagine negativa del calcio: immagine che minacciava la sua accettabilità e quella di tutto il sistema che intorno al calcio gravita, a cominciare dai tifosi per finire col giornalismo sportivo, su carta o televisivo che fosse. In situazioni di questo genere, come sempre, si può reagire in due modi: domandarsi perché è stato commesso l’errore, analizzarlo e porre in essere i rimedi adeguati, oppure trovare un capro espiatorio. Quegli stessi studi di psicologia che trattano del ruolo del “capro espiatorio” nei gruppi spiegano anche le caratteristiche che il malcapitato deve possedere per essere un valido capro espiatorio. Come nel 1998, a nulla valse dimostrare che la Juve faceva né più né meno che quello che facevano tutti: il problema arbitrale nel calcio si risolveva dando addosso all’untore, e così è stato. La denuncia di un malcostume è diventato subito un attacco diretto e specifico alla Juventus. Non voglio riaprire quella questione, altrimenti facciamo notte e non è questo il tema, ma una cosa desidero sottolinearla: sulle altre squadre non è stata fatta nessuna indagine, se non in via incidentale, benché il problema fosse noto e generalizzato.
Corre adesso la primavera del 2017. A balzare agli onori della cronaca sono i rapporti tra le società di calcio e le tifoserie organizzate: i cosiddetti “ultras”. Il problema è annoso, sta ormai diventando insostenibile e riguarda tutti. Il problema però è complesso, di difficile soluzione e crea un’immagine negativa del calcio: immagine che minaccia la sua accettabilità e quella di tutto il sistema che intorno al calcio gravita, a cominciare dai tifosi per finire col giornalismo sportivo, su carta o televisivo che fosse. In situazioni di questo genere, come sempre, si può reagire in due modi: domandarsi perché è stato commesso l’errore, analizzarlo e porre in essere i rimedi adeguati, oppure trovare un capro espiatorio.
Se proprio non volete leggerli quei benedetti studi di psicologia, sappiate che il “capro espiatorio” è tendenzialmente sempre la stessa persona.
Sindrome da accerchiamento? Vittimismo? Calimero nero? Vediamo…
Arnaldo Capezzuto, 4 maggio 2014, IlFattoQuotidiano.it “Genny la Carogna”. “Genny ha referenze importantissime, c’è il collaboratore di giustizia Emilio Zapata Misso che spiega:“Gli equilibri fra i gruppi di tifosi e quelli fra clan camorristici si influenzano gli uni con gli altri (…) Il capo dei “Mastiffs” è De Tommaso Gennaro, detto “Genny ‘a carogna”, figlio di Ciro De Tommaso camorrista affiliato al clan Misso (…) Così come il gruppo “Rione Sanità” è comandato da Gianluca De Marino, fratello di Ciro, componente del gruppo di fuoco del clan Misso”. Ancora di più, ci sono anche inchieste della Digos di Napoli e della magistratura che illustrano come i componenti del gruppo organizzato dei tifosi dei “Mastiffs” sono stati più volte coinvolti in indagini giudiziarie insieme all’altro gruppo della torcida azzurra i Fedayn per tifo violento con arresti e perquisizioni. A rafforzare il quadro delle benemerenze del capo dei Mastiffs c’è anche il racconto di Salvatore Russomagno, pentito del clan Mazzarella che spiega : “Dell’esistenza di azioni punitive che avvengono quando un calciatore gioca male oppure non si presenta alle riunioni presso i circoli sportivi, ovvero parla male dei tifosi e in particolare dei Mastiffs. I Mastiffs sono violenti e non gradiscono le dichiarazioni dei calciatori contro la violenza degli stadi, talvolta gli orologi rapinati ai calciatori sono stati anche restituiti, così a Cavani e alla moglie di Hamsik, non so chi le commise ma sono stati i Mastiffs a fare avere indietro gli orologi”. Alla fine il presidente Aurelio De Laurentiis a Coppa Italia conquistata nel corso di un’intervista lo riconosce : “A Napoli è tutto diverso”.
A proposito di negazione, preservazione del gruppo e proiezione sugli altri membri di quelle caratteristiche che ognuno giudica indesiderabili per sé, come li vedete i napoletani? E la commissione antimafia? Si è accorta oggi dell’esistenza del problema o semplicemente oggi ha trovato qualcuno che ha le caratteristiche per fare da capro espiatorio?
Valeria Pacelli, 12 maggio 2014, IlFattoQuotidiano.it “Per quanto in questo Paese nessuno voglia pronunciare questa parola, anche sabato scorso, in una Roma dove ci si sparava per una rivalità calcistica, si è parlato di trattativa con gli ultrà. E neanche questa volta è stata data una risposta chiara ai cittadini che intanto si domandavano cosa fosse successo realmente in campo. Anzi, per confondere meglio, vengono fornite due spiegazioni contrapposte. Nei confronti di Genny ‘a carogna, alias Gennaro de Tommaso, ultrà napoletano, infatti la trattativa c’è stata. A far giocare il match Napoli-Fiorentina, dopo il ferimento di Ciro Esposito, sono stati gli ultrà. Tutti sanno che se questo gruppo non avesse voluto, quel fischio di inizio non ci sarebbe stato. Genny ‘a carogna giustamente per questo paga. Paga per aver parlato con Marek Hamsik, che in quel momento faceva da mediatore con i tifosi. Per la Lega Calcio il giocatore è stato minacciato. Per lo Stato no. Nel dubbio, Hamsik non interviene: lui gioca a calcio e non esprime opinioni. Genny ‘a carogna giustamente paga soprattutto per quella maglietta orribile: “Speziale libero“; riceve un daspo di cinque anni e viene indagato dalla procura di Roma. Se invece ci si riferisce alle istituzioni, la versione cambia: per il ministro Angelino Alfano, per il prefetto Giovanni Pecoraro e per il questore Massimo Mazza trattativa non c’è stata. A nulla servono le motivazioni di condanna alla società del Napoli da parte del giudice sportivo che invece ritiene non solo che trattativa ci sia stata, ma aggiunge anche l’oggetto: “Se giocate, invadiamo il campo”, cosa che effettivamente è stata fatta a fine partita. Per quanto riguarda lo Stato, in tal caso nessuno paga. Anzi si fa la voce grossa e si inaspriscono le misure contro le tifoserie. Nessuno si vergogna pubblicamente per quella scena che abbiamo servito, anche stavolta, agli occhi del mondo. Gli agenti e le istituzioni che si scomodano per parlare con Genny, che con un semplice gesto azzittisce o scatena una curva. E si piegano di fronte a questa forza”.
Sempre a proposito di negazione, preservazione del gruppo e proiezione sugli altri membri di quelle caratteristiche che ognuno giudica indesiderabili per sé, come lo vedete Giuseppe Pecoraro, quando accusa Agnelli di aver trattato con questa feccia?
Ma prima che qualcuno dica: ce l’hai coi napoletani, mi faccio dire che ce l’ho pure con i milanisti. Arianna Ravelli e Gianni Santucci, 7 febbraio 2007, Corriere.it “I capi dei tifosi invitati dal club rossonero alla cena di gala per lo scudetto nel 2004 MILANO — Il capo dei Commandos, qualche anno prima, non poteva entrare allo stadio. Però alla festa del Milan campione d’Italia, nel 2004, aveva un tavolo accanto a quello del presidente Berlusconi. «Noi siamo soliti festeggiare con la nostra famiglia allargata», dice la società. Una definizione che comprende sia il presidente della Regione Formigoni e l’allora sindaco di Milano Albertini, sia una quindicina di ultrà esponenti dei Commandos, delle Brigate Rossonere, e della (oggi sciolta) Fossa dei leoni. Un frammento dei rapporti pericolosi che Inter e Milan intrattengono con i «cattivi» delle curve. Rapporti leciti, ma alla base di un giro d’affari da milioni di euro, della gestione di un potere su migliaia di ultrà, e di un meccanismo di ricatto più o meno latente verso i club. Che negli ultimi mesi è sfociato in una tentata estorsione ai danni dei rossoneri. Con colpi di pistola e un pestaggio.”
Se Atene piange, Sparta non ride. “Il patto nerazzurro. Quindici maggio 2005, a San Siro si gioca la partita Inter-Livorno. In curva Nord, quella nerazzurra, compare una croce celtica. Sventola per pochi minuti, poi viene ritirata. Cosa è accaduto? Un responsabile della polizia ha avvertito un referente della curva, che ha girato immediatamente l’ordine: «Fate levare quella roba». Il magistrato che ha indagato sugli ultrà interisti parla di collaborazione «efficace». È il sistema nerazzurro, per come è stato ricostruito dagli investigatori. Funziona così: concessione di benefici «limitati» ai capi-curva in cambio di una sorta di «servizio d’ordine». Il tutto sotto la supervisione della polizia, che però non compare mai sugli spalti. L’Inter assicura cinquanta biglietti omaggio «consegnati a Franco Caravita (leader della curva Nord, ndr) e da questi gestiti con successiva distribuzione » ad altri esponenti degli ultrà. La contropartita, per l’immagine e per le casse di una società di calcio, è enorme: una curva calma, niente guerriglia urbana (rarissima fuori da San Siro negli ultimi anni), poche multe per incidenti e lancio di fumogeni. Ma come: si tratta con i «cattivi»? Ci si affida a loro per il servizio d’ordine, anche se alcuni hanno precedenti penali? E qual è il limite di questi accordi? La risposta l’ha data il pm Fabio Roia chiedendo l’archiviazione dell’indagine sul lancio di fumogeni che portò all’interruzione del derby di Champions del 12 aprile 2005: «È evidente come questa intesa possa suscitare qualche perplessità sotto il profilo etico e della eventuale prospettiva investigativa, ma la gestione dell’ordine pubblico in situazioni di particolare complessità comporta una visione ampia e flessibile del problema».”
Sì ma sono solo delinquenti: nel caso della Juve si parla di mafia!!! Dario Del Porto, La Repubblica, 8 giugno 2011 “Lo Russo aveva un pass per assistere a Napoli-Parma. Il giallo della presenza del figlio del boss nel match del 2010 finito con una rocambolesca e discussa sconfitta degli azzurri rimontati nella ripresa dopo aver chiuso in vantaggio il primo tempo.
Che ci faceva Antonio Lo Russo a bordo campo mentre il Napoli giocava, e perdeva, una delle partite più importanti della stagione 2009-2010? Come ha ottenuto il pass? La foto del figlio del boss di Secondigliano, ritratto sul prato dello stadio di Fuorigrotta durante l’incontro vinto dal Parma 2-3, conferma l’indiscrezione rivelata da una fonte confidenziale citata dai carabinieri nell’informativa trasmessa un anno fa alla Procura federale. E apre nuovi interrogativi su quell’incontro. Inevitabile la rilettura dell’episodio da parte dei magistrati. È vero, come spiega il procuratore Giandomenico Lepore, che la presenza del figlio del “Capitone” non costituisce, in astratto, reato. Il 10 aprile 2010 Antonio Lo Russo era un libero cittadino e lo sarebbe rimasto fino al 5 maggio successivo, quando venne firmata l’ordinanza che lo costringe tuttora alla latitanza. Ma parlando di quella partita il confidente aveva indicato anche un altro episodio sospetto: il flusso anomalo di puntate registrato nella periferia Nord quando, nell’intervallo della gara terminato con gli azzurri in vantaggio per 1-0, si impennarono le giocate sulla sconfitta del Napoli. Non abbastanza per ipotizzare, in quella fase illeciti penali né sportivi data anche la natura “confidenziale” delle notizie. Il riscontro rappresentato dalla foto impone però ulteriori accertamenti.” A voi risulta che siano stati fatti ulteriori accertamenti? Sapete per caso se un fascicolo giace aperto su qualche tavolo?
NuovoSUD.it 9 febbraio 2017 “La Commissione Antimafia sul Catania Calcio: ” Un quadro preoccupante”. […] A questo punto – rincara Angelo Attaguile (co-presidente del Comitato “Mafia e manifestazioni sportive” della Commissione Antimafia ndr) – dobbiamo prendere atto di come la giustizia sportiva abbia ritenuto di dover penalizzare solo i tifosi del Calcio Catania nonostante il pubblico ministero Alessandro Sorrentino, rispondendo ad una mia precisa domanda, ha reso noto di aver trasmesso alla giustizia sportiva tutti gli atti dell’inchiesta: perché non si è agito anche contro le altre squadre coinvolte nelle combine?” Già, perché?
Non voglio farvela tanto lunga. Che il problema fosse noto è evidente. Che fosse generalizzato è altrettanto evidente. Che sia di difficile soluzione non serve un genio per capirlo. Che fino ad oggi non si sia fatto nulla per risolverlo è acclarato.
La domanda che mi pongo è sempre la stessa: si sta cominciando oggi dalla Juve (è solo sfiga) o si sta incolpando il solito capro espiatorio? Giovanni Capuano, 23 marzo 2017, Panorama.it “I due fratelli sono stati arrestati. Rocco è incensurato, parliamo con Rocco”. Parole che Andrea Agnelli ha (avrebbe) detto ad Alessandro D’Angelo, security manager della Juventus, contenute in un’intercettazione citata dal procuratore della Figc Pecoraro davanti alla Commissione Antimafia e che proverebbero la conoscenza da parte del presidente del club del profilo malavitoso di Rocco Dominello e la sua storia familiare di rapporti con la ‘ndrangheta. Il giallo delle carte apparse nell’inchiesta sui presunti legami tra la Juventus e gli ultras, con sospetto di infiltrazione della malavita organizzata nella gestione dei biglietti dello Stadium per garantirsi la pace con la curva, ruota intorno a quelle dodici parole. Stralcio di un’intercettazione che non compare nelle migliaia di pagine di atti messe a disposizione dalla Procura di Torino e che la Commissione Antimafia e la Juventus hanno studiato. Ma che il procuratore Pecoraro ha citato nella sua audizione secretata a inizio marzo – così ha detto Stefano Esposito nel corso dell’audizione in Commissione – e che, se vera, inchioderebbe Agnelli. Oppure, al contrario, andrebbe spiegata perché su di essa poggia gran parte del teorema sul legame tra la Juve e le cosche. Un vero giallo che ha spinto alcuni componenti la Commissione a chiedere di verificare con la Procura di Torino l’esistenza di intercettazioni non fornite. E che rappresenta il cuore della vicenda. Perché un conto è ammettere e ricostruire i rapporti con i capi ultras – circostanza peraltro non negata nemmeno dal presidente della Juventus -, un altro è avere la prova che il numero uno sapeva di essersi affidato alla ‘ndrangheta per non avere problemi allo Stadium.
L’intercettazione inedita e le domande senza risposta.
Se l’intercettazione esiste davvero, giustificherebbe quanto scritto dalla Procura Figc nel deferimento per Agnelli e la Juventus, con il sospetto di “collaborazione” con la criminalità per gestire la curva. Ma allora non è chiaro perché il procuratore Pecoraro non l’abbia inserita nelle venti pagine del dispositivo di cui ne è stata resa pubblica solo una parte qualche ora dopo che lo stesso Agnelli in conferenza stampa aveva informato i giornalisti sul ricevimento dell’atto. E se l’intercettazione esiste – circostanza che metterebbe Agnelli in posizione di forte imbarazzo – è anche necessario capire perché non sia andata ai legali e alla Commissione Antimafia e sia finita, invece, nelle mani della Procura Figc. Se, invece, quanto riportato da Pecoraro e citato dal senatore Stefano Esposito prima della richiesta di desecretare gli atti non corrisponde ad alcun documento esistente o ne è una interpretazione forzata, cadrebbe la ricostruzione della consapevolezza di Agnelli di avere a che fare con un personaggio dalla storia familiare legata alle cosche e Pecoraro dovrebbe spiegare come sia stato possibile citarla.“
Ecco, a questo punto, visto il ripresentarsi delle solite e ben conosciute modalità, la puzza della ricerca del solito capro espiatorio è fortissima e sovrasta tutto il resto. E sono certo che i dementi che da qualche giorno sbraitano certezze mi perdoneranno se, forte dei precedenti, nutro serissimi dubbi sulle reali finalità dell’inchiesta.
Perché, da verace gobbodimerda, a fare da capro espiatorio questa volta proprio non ci sto.
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