

Non può esistere una grande squadra senza alle spalle una grande società. Non è un luogo comune, ma la pura verità: possono esserci casi sporadici o eccezioni, e di solito queste durano lo spazio di una stagione per poi affievolirsi immediatamente. Un’impresa leggendaria come quella che ha compiuto la Juventus, invece, non sarebbe stata possibile né immaginabile senza la presenza nella cabina di regia di una società forte, solida, competente e all’avanguardia in ogni settore.
La Juventus è una società particolare. Poca presenza sui giornali o in TV, pochissime passerelle e apparizioni pubbliche ridotte all’osso: del Presidente Agnelli, in questa stagione, si ricordano le parole molto ferme durante l’Assemblea Azionisti di fine ottobre, quando venne sgombrato il campo da qualsiasi alibi in merito alla posizione in classifica (un quattordicesimo posto definito testualmente “inaccettabile”) e niente altro. Pochi media e tanto Vinovo, questo è il modus operandi di questa società. E quest’anno ce n’è stato molto bisogno soprattutto nei primi tre mesi, quando c’è stata da gestire una situazione contingente che non si era mai presentata da quando questo management si è insediato, nel maggio del 2010. C’era stata la tremenda seconda parte di stagione 10/11, che culminò col settimo posto e l’esclusione dalle coppe europee, ma erano delle difficoltà messe in preventivo vista la situazione di partenza: una società e una squadra alla deriva che dovevano essere riprese per i capelli prima che precipitassero nel burrone. Una situazione come quella di quest’anno, invece, era una cosa tanto nuova quanto inattesa, pur se la grande rivoluzione compiuta in estate poteva suggerire alcune difficoltà iniziali. Alcune, non certo un quattordicesimo posto in classifica dopo 10 giornate, con 11 punti di distacco dal primo posto.
C’è chi sostiene che un ruolo di primo piano nella gestione societaria del momento di inaspettata e tremenda difficoltà l’abbia giocato Pavel Nedved, che era stato nominato Vice Presidente proprio pochi giorni prima che iniziasse la più grande rimonta mai vista nella storia dei campionati di Serie A. Non si fa fatica a credere che la sua presenza costante a Vinovo, il carisma e la credibilità coi quali si è saputo calare nei panni di uomo di riferimento di quella zona grigia a cavallo tra l’area tecnica e quella dirigenziale, siano stati fondamentali in quei giorni così caldi di fine ottobre, quando il rischio che il timone iniziasse a girare all’impazzata e la nave si facesse travolgere dal mare in burrasca era più che mai concreto.
Risulta evidente, però, come i meriti non possano essere solo di Nedved. Elemento distintivo di questa società è di essere un monolite inscalfibile, un blocco unico che in quei giorni complicati ha iniziato probabilmente a consegnarsi alle pagine della Storia come uno dei gruppi dirigenziali migliori della storia bianconera e non solo. Non bastava aver rimesso in sesto una società presa in mano nel maggio 2010 in condizioni disastrose, aver limitato a un solo anno il periodo di fisiologico assestamento e aver riportato dopo soli sei anni dallo tsunami di calciopoli la Juventus al vertice del calcio italiano coniugando alla perfezione risultati sportivi e bilancio. Non bastava aver dimostrato che il ritorno alla vittoria non era stato un fatto estemporaneo ma il frutto di una supremazia via via consolidatasi anno dopo anno, record dopo record, scudetto dopo scudetto. Non bastava aver esportato la ritrovata competitività dai confini nazionali a quelli europei, con una finale di Champions League contesa fino all’ultimo respiro ai marziani blaugrana incontrati nel momento di loro massima grazia individuale e collettiva. Non bastasse tutto ciò, quest’anno Agnelli, Marotta, Paratici e Nedved con i loro collaboratori hanno compiuto il capolavoro definitivo: sono riusciti nell’impresa di non interrompere il ciclo di vittorie quando tutto sembrava portare in quella direzione e l’anno di transizione si delineava come una concreta possibilità.
Hanno portato a termine un mercato che, valutato a posteriori, si è dimostrato un concentrato di competenza e lungimiranza che ha pochi eguali. I polsi non sono tremati quando c’è stato da sostituire pezzi da 90 che, per motivi diversi, avevano esaurito la loro parabola in maglia bianconera: gente come Pirlo e Vidal, protagonisti di tutti e quattro gli scudetti appena conquistati; come Tevez, vero trascinatore delle ultime due stagioni e Llorente, pedina importante in campo e fuori; senza considerare la partenza di vere colonne dello spogliatoio come Storari e Pepe, il cui numero di presenze era stato inversamente proporzionale al peso specifico negli equilibri complessivi del gruppo. Mandzukic, Dybala, Cuadrado, Khedira, Alex Sandro, Zaza, il rientro di Rugani: nel momento in cui era più necessario non sbagliare nulla, vista la delicatezza dell’operazione che si andava a compiere, questa dirigenza ha centrato un mercato praticamente perfetto, sbagliando forse solo l’ultimo acquisto concluso in fretta e furia nelle ultime ore di contrattazioni. Altro che stagione di transizione o di assestamento: i nostri fuoriclasse dietro la scrivania sono riusciti nell’impresa di ringiovanire la rosa, chiudere un ciclo e aprirne uno nuovo immediatamente e ugualmente vincente costruendo una rosa che, al contrario di quanto potesse sembrare quando non era stata ancora trovata la giusta alchimia, risulta essere probabilmente più forte e completa di quella precedente. Rileggere quest’ultimo concetto e ritornare alla mente a fine agosto 2015 per comprendere appieno l’enormità del lavoro compiuto.
Se Massimiliano Allegri può oggi dire che questa squadra ha un grande futuro, ampi margini di crescita e che vincere la Champions League dall’anno prossimo non rientrerà nella sfera dei sogni da accarezzare ma in quella degli obiettivi concreti da perseguire, una grossa fetta di merito è da attribuire a chi in questi cinque anni straordinari c’è sempre stato e ha saputo costruire, pur tra diffidenze e scetticismi di una parte di tifoseria che meriterebbe di essere rispedita nell’era cobolliana, anno dopo anno con poche chiacchiere e tanti fatti una fortezza che viene sempre più apprezzata in giro per l’Europa, mentre tra i ruderi del cortile italico si continua a parlare di moviole, poteri forti, aiuti e stupidaggini assortite. Tutto questo nuovo quinquennio d’oro ma in particolare quest’ultimo, incredibile scudetto, è più che mai lo scudetto di una grandissima società.
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