Premessa uno: Chi scrive è un innamorato del Conte allenatore. Nell’estate del 2011 tifavo per lui, convinto che la sua juventinità, conoscenza dell’ambiente, carattere e, perchè no, idee di calcio importanti, fosse ciò che servisse ad un ambiente allo sbando.
Premessa due: le riflessioni che seguiranno si riferiscono a come è stata gestita la partita di Champions League a Copenaghen e, parzialmente, a alcuni elementi emersi a Milano contro l’Inter. Seguiranno le analisi dei fatti accaduti e eventualmente ipotesi di potenziali pericoli che possono, a mio avviso, complicare il cammino del mister ad una piena maturazione e consacrazione a livello internazionale.
Premessa tre (la più importante): se fossi in Andrea Agnelli e avessi la possibilità di estendere il contratto di Antonio Conte per altri dieci anni, non mi farei scappare l’occasione e sottoscriverei immediatamente. Antonio Conte è e diventerà ancor di più un fuoriclasse della panchina.
Andiamo al dunque. A Copenaghen, il mister secondo me ha fatto una serie di errori. Provo a sintetizzarli in pochi punti:
- Approccio alla gara. Se, il primo io, abbiamo giustamente osannato Conte per lo spirito con il quale i suoi giocatori hanno affrontato i match in questi due anni, è giusto rimarcare in negativo quando la squadra approccia la partita in modo molle, attendistico. In Europa, sia nella fase a gironi, sia a maggior ragione in quella ad eliminazione diretta, non ce lo si può permettere. Abbiamo regalato un tempo, a prescindere dal valore degli avversari.
- Posizione di Bonucci. Condivisibile aver messo all’inizio lui a destra e Ogbonna al centro, ma dopo aver visto quanto la manovra in fase di uscita ne risentiva, perchè già nel primo tempo non provvedere? Possibile che Ogbonna, seppur destro, giocando a sinistra avrebbe influito ancor più negativamente?
- Gestione Pirlo. A Milano il professore è andato in campo dopo 180 minuti in quattro giorni giocati con la Nazionale. Ha senso chiedergli di giocare ulteriori 180 minuti nei 4 giorni successivi? Pirlo non è sostituibile e la sua assenza non possiamo che pagarla. Ma credo sia condivisibile affermare che il suo impiego deve essere dosato. Il “come fare” non sta a me dirlo e in questa sede non aggiunge e toglie nulla al ragionamento.
- Capitolo sostituzioni. Al 70° della gara e con il risultato ancora in pareggio, perchè non inserire una terza punta? Non stavamo più rischiando nulla, un centrale poteva essere sacrificato. Giovinco preferito a Llorente per la sua rapidità a fronte dei centrali avversari alti e lenti? Al giorno d’oggi il 95% dei centrali ha queste caratteristiche. E poi, ha senso basare le proprie scelte sulle caratteristiche dei due onesti pedatori danesi? E De Ceglie? Centimetri in difesa per proteggersi dalle palle inattive? Mah. D’altro canto a quanto pare la scelta di Peluso nell’undici iniziale sembra figlia della stessa motivazione. D’accordo il turn-over, ma rinunciare alla qualità di Asamoah negli ultimi trenta minuti mi ha lasciato perplesso.
Possibili e giuste obiezioni a quanto suddetto: abbiamo comunque creato tanto, il risultato è bugiardo e non è detto che facendo altrimenti avremmo ottenuto più vantaggi. Tutto vero, ma nel calcio quasi mai si hanno le controprove. O ne prendiamo atto e possiamo discutere accettando tale limite, o potremo parlare del sesso degli angeli e poco più.
Gli errori suddetti, sempre ammesso che siano tali, che matrice hanno? Su questo sito in un post precedente il sottoscritto ha esaltato il calcio di Conte, fatto di organizzazione e schemi provati in allenamento fino allo sfinimento. Il calcio come il basket. Ovviamente tutto ciò è un assoluto plus, di Conte e della sua Juve. La mia ipotesi è che non si sappia mollare tale approccio quando occorre, quando cioè le esigenze e l’evoluzione del match impongono una partitura più libera e una ridefinizione dei set di movimenti provati in allenamento. Non si deve cioè trasformare la grande enfasi posta nell’organizzazione di gioco e negli schemi da virtù che possediamo in schiavitù. Ciò che io definisco “sindrome sacchiana” è per l’appunto questa incapacità di sparigliare quando occorre e ritornare ad un calcio semplice, fatto di sequenze logiche scontate ma in certi casi proprio per questo efficaci: serve segnare? Mettiamo una punta; non riusciamo a penetrare centralmente? Rinforziamo le fasce e crossiamo. Tale fu a mio avviso il grosso limite in cui è incorso il geniale allenatore che ha segnato un’epoca, Arrigo Sacchi.
C’è un punto in cui un allenatore deve accettare il fatto che le sue scelte di impostazione della partita non stanno producendo i risultati sperati. A quel devi cambiare e cercare strade nuove, spesso affidandoti alla semplicità. Questa è per esempio la caratteristica che più ho ammirato, da profano, in Mourinho.
Non voglio addentrarmi in quali mosse si sarebbe potuto mettere in campo nel recente e sfortunato match di Champions, ci perderemmo in una discussione infinita. La questione, il potenziale pericolo, è che Conte e la squadra siano troppo ed esageratamente rigidi nella loro interpretazione della partita. E quando questa interpretazione non porta i risultati sperati non si riesca/voglia a cambiarla.
E’ splendido veder la Juve girare come un orologio, in cui ognuno sa perfettamente cosa fare e cosa aspettarsi dagli altri. Ma talvolta si può sbagliare fuso orario. Bisogna accorgersene e regolare le lancette oppure non guardare più l’orologio e regolarsi a braccio.
Concludo invitando a rileggere le premesse dell’articolo. Amare un allenatore non vuol dire non poterlo criticare mai, soprattutto quando ciò che ti guida sono solo la passione per il calcio e per i colori Bianconeri.
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