

Il caos che si sta scatenando attorno al nuovostadiodellaroma è sintomatico dell’andazzo del Paese che è diventato l’Italia. Senza i giusti “appoggi” non si fa molta strada, per cui nello Stivale il rapporto tra sport e politica è sempre stato molto stretto. Perché lo sport offre una vetrina importante a chi si fa portatore di interessi economici più o meno pubblici e attorno alle società gravita un microcosmo, nemmeno tanto micro, costituto da faccendieri, portaborse, consulenti & C. legati a doppio filo con il mondo della politica. Le tifoserie portano un sacco di voti (che si traducono in soldi) se vengono imbonite a dovere, e ne abbiamo un esempio lampante proprio sotto la Madunina. Solo recentemente, in Italia, qualcuno ha capito che attraverso un approccio manageriale è possibile fare business attraverso lo sport professionistico, ma questi esempi di gestione virtuosa raramente vengono presi a modello, piuttosto diventano causa di invidie quando non si sconfina nell’infamia vera e propria. Sì perché è più facile asserire che alla Juventus rubano, truffano, si drogano e costruiscono strutture con acciaio scadente, anziché ammettere che in Corso Galileo Ferraris sono avanti di secoli rispetto al resto del carrozzone.
Purtuttavia qualche passettino avanti il calcio italiano lo ha mosso, ponendo al centro del dibattito sociopolitico la questione impianti dopo averla trascurata per anni, in nome della logica del proprio orticello in cui l’interesse a breve termine e il favore hanno prevalso sulla visione di lungo periodo e sul lavoro. Elemento imprescindibile per poter accedere a un settore dell’economia ormai globalizzato come quello dell’industria calcistica è lo stadio di proprietà, asset fondamentale non solo dal punto di vista degli incassi da botteghino, ma anche e soprattutto prestigiosa calamita per gli sponsor e per lo sviluppo del marchio, ergo per l’aumento del fatturato. Lo stadio di proprietà più che una casa è un tempio, diventa un elemento fortemente fidelizzante per la tifoseria, può consentire agli atleti di andare oltre propri valori tecnici, basta guardare cosa accade in quel di Torino, nei pressi di Corso Gaetano Scirea, da quasi sei anni a questa parte. Ma lo Juventus Stadium non è un esempio isolato, visto che l’Udinese ha di recente ultimato e inaugurato la Dacia Arena e cominciano a intravedersi i primi segnali di progettualità vera anche a Cagliari, dopo anni di problemi, e soprattutto a Roma.
Già, Roma.
L’Italia è un caso singolare nel mondo, a causa della presenza di una forte criticità geologica e idrogeologica, soprattutto in corrispondenza dell’arco alpino e della dorsale appenninica, alla quale si aggiunge una straordinaria stratificazione di layer architettonici a partire dalla preistoria a oggi. A queste problematiche si sommano decenni di malgoverno che si ripercuotono negativamente sulla gestione di un territorio martoriato da eventi sismici e calamità atmosferiche di varia natura.
Un esempio iperbolico di questa situazione è ben rappresentato dalla città di Roma, in cui a un rischio sismico e idrogeologico moderato si sovrappone la storia d’Italia, in senso architettonico e in senso politico.
Non è dato sapere in che modo si concluderà la vicenda del nuovostadiodellaroma, quel che è certo è che – come di consueto – si naviga nel torbidume più denso e che la soluzione del problema sembra ancora molto distante. Perché parliamo di Roma, con annessi e connessi, perché l’intersezione tra politica, affari e sport, a Roma, ha raggiunto livelli parossistici per cui in questa faccenda vorranno mettere bocca e mani tutti quanti, privati, banche, politica e chi più ne ha più ne metta. Ancor più perché, come tutti sanno, l’A.S. Roma non è più una società in mano a un proprietario italiano, bensì fa capo alla “Neep Roma Holding SpA” dell’ammericano Thomas Di Benedetto.
La realizzazione dello stadio è sempre stata considerata un obiettivo prioritario dalla nuova proprietà che si è affidata a Exor, tramite l’advisor Cushman & Wakefield, per individuare il sito in cui edificare sia l’impianto che tutto il cucuzzaro. Evidentemente Di Benedetto e Pallotta hanno pensato di mettersi nelle mani esperte di chi lo stadio di proprietà in Italia lo ha già realizzato, particolare non di poco conto, anche a livello di politica federale (Roma e Juventus sembrerebbero molto “vicine” da questo punto di vista).
Il progetto presentato dalla Roma prevede la costruzione dell’impianto nella zona di Tor di Valle, per un investimento complessivo che si aggira attorno al miliardo di euro relativamente alle strutture, più 300 milioni per le infrastrutture, progetto comprendente oltre allo stadio un business center con diversi edifici abbastanza imponenti e la completa urbanizzazione dell’area, a oggi pressoché priva di qualsiasi collegamento viario e impiantistica.

La situazione attuale dell’area di Tor di Valle a Roma

La proposta dell’A.S. Roma per la riqualificazione della zona di Tor di Valle con la realizzazione del nuovo Stadio (immagine disponibile nel sito ufficiale http://www.stadiodellaroma.com/it/gallery)
Così com’è, l’intervento è abbastanza devastante dal punto di vista ambientale, soprattutto perché prevede la quasi totale cementificazione di un’area aperta vicina al Tevere, in cui convergono faccende di debiti, banche, famiglie e gruppi finanziari, nella migliore tradizione romanesca. L’aspetto che lascia maggiormente perplessi è quello legato alla costruzione dei tre grattacieli di Libeskind in adiacenza allo stadio, tipologia architettonica che per Roma sarebbe una novità assoluta e comunque in totale contraddizione con gli eventi catastrofici che hanno da poco sconquassato l’Italia. Il teatro di questa operazione è una zona periferica, anzi periurbana, e tutto ciò non fa altro che acuire il sospetto sul fatto che dietro ci siano grossi interessi a scopo speculativo. Sospetto più che legittimo, a questo punto, con il rischio che si costruisca l’ennesima cattedrale nel deserto, la più grande di tutte.
Oltre al complesso iter burocratico, il progetto dovrà superare i diversi scogli politici, primo fra tutti l’amministrazione “umorale” della Giunta Raggi, specchio di un Paese in cui chi dice no non sbaglia mai. L’aspetto paradossale è che su queste vicende si debba attendere il placet non di un esperto ma di Beppe Grillo, atteso a Roma in queste ore per una riedizione cacio e pepe della domenica delle palme. Dopo conferenze di servizi, rinvii, pareri rilasciati e poi negati, pubblica utilità forse sì o forse no, assessori pro e assessori contro, si vive attualmente una situazione di stallo per via di un curioso vincolo sull’ippodromo imposto dalla Soprintendenza ai Beni Architettonici, quindi dal Ministero per i Beni Culturali.
Il soprintendente, l’architetto Margherita Eichberg ha dichiarato:
“La nostra è un’iniziativa a tutela di un bene culturale, l’ippodromo di Tor di Valle è una struttura importante per la storia dell’architettura, al momento è l’edificio in cemento armato con il maggiore sbalzo* al mondo per tipologia strutturale. Il vincolo sulle tribune è l’unico atto veramente vincolante che possiamo emanare, e nel caso del vincolo diretto come bene culturale diventiamo determinanti”.
* per sbalzo si intende l’aggetto della copertura sulla tribuna (n.d.r.)
Il tutto è riferito all’avvio del procedimento per la dichiarazione di interesse particolarmente importante su una struttura progettata dall’architetto Lafuente, risalente agli anni ’50, ormai in disuso e fatiscente oltre che inquinata dalla presenza di amianto, ma che secondo la soprintendenza costituisce un elemento di riferimento “per la storia dell’arte (architettura), della scienza, della tecnica e dell’industria di questo Paese”. Secondo il dispositivo della soprintendenza, che comunque necessita di approvazione da parte del segretario regionale del Mibact, con tempi ancora abbastanza lunghi e che si protrarranno ben oltre la deadline del 3 marzo, dovrà essere preservata la visuale sull’ippodromo e non dovranno essere “alterate le condizioni di inserimento nel contesto agrario attuale”.
Una vicenda curiosa che ricorda da vicino la riqualificazione della Continassa da parte della Juventus a Torino, area abbandonata a se stessa improvvisamente diventata importantissima per la Torino non bianconera, nel momento in cui il club bianconero ha deciso di acquisirla in concessione per procedere alla costruzione del J Village.
Va detto che la Roma non ha atteso che venissero approvate fantomatiche leggi sugli stadi ma ha preso l’iniziativa e presentato una proposta concreta, da qualsiasi prospettiva la si voglia guardare. Nel bene o nel male, tralasciando il populismo spiccio e gli hashtag coatti lanciati da Spalletti e Totti, mentre altrove ci si arrabatta alla bell’e meglio sui dizionari cinese – italiano, italiano – cinese, i nuovi proprietari della Roma hanno dimostrato progettualità e desiderio di investire, doti rare all’ombra del Cupolone. Gli americani hanno scelto un approccio di difficile applicazione in Italia, poiché la costruzione di un impianto ex novo, di matrice nordamericana, presenta come abbiamo visto una serie infinita di problematiche che la semplice ristrutturazione del vecchio stadio, scelta da Juve e Udinese, ha consentito di evitare.
Che si faccia in questi termini o meno, Andrea Agnelli sarebbe il primo a compiacersi se la Roma realizzasse il proprio stadio, primo passo verso il superamento di quei limiti strutturali che da sempre lamenta parlando del sistema calcio in Italia. La base da cui partire per “vendere” meglio il prodotto Serie A, soprattutto all’estero, è costituita da impianti moderni, sicuri, fruibili 7 giorni su 7, belli e a misura di famiglia. Certo che se la conditio sine qua non per la costruzione del nuovostadiodellaroma diventa la costruzione di tre grattacieli, un minimo di riflessione sul come ‘o #famostostadio diventa a questo punto doverosa.
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