

Chiuso il girone di andata, proviamo a capire come siamo arrivati alla sosta, e come si prospetta l’anno che verrà.
L’estate 2021 è stata abbastanza strana: a fine maggio è stato esonerato Pirlo, nonostante la Supercoppa Italiana e la Coppa Italia e, soprattutto, nonostante il quarto posto in campionato, obiettivo minimo.
Due annotazioni: se non fosse stato per il suicidio del Napoli, il quarto posto non sarebbe stato raggiunto; quindi, stagione ripresa all’ultima giornata e (per la terza volta consecutiva, record) l’allenatore della Juventus è stato esonerato nonostante abbia sollevato almeno un trofeo (nel caso di Pirlo, appunto, due). Anche Allegri e Sarri nei due anni precedenti erano stati sollevati dall’incarico nonostante il campionato vinto.
Se queste scelte siano state figlie di programmazione errata o di un eccesso di tracotanza o, ancora, abbiano pagato l’avvento del Covid, lo abbiamo già analizzato in questi mesi e in questi anni. Fatto sta che in estate anche Fabio Paratici saluta, avvicendato dal suo braccio destro Federico Cherubini e viene aggiunta la figura dell’Amministratore Delegato, vacante dall’addio di Marotta, nella persona di Maurizio Arrivabene, già nel CDA della Juventus e con esperienze di dirigente in Formula Uno.
Mandato via Pirlo, non senza polemiche “social”, viene richiamato Allegri, e già qualcuno pregusta un ritorno ai vertici, che però si deve scontrare con tre grosse incognite: dal punto di vista tecnico, le macerie delle due gestioni precedenti, anni in cui “non è disdicevole arrivare secondi” e “meglio perdere dominando che vincere con difesa e contropiede”; dal punto di vista dell’assemblaggio della squadra, un parco giocatori acquistati senza criterio, con una prevalenza di esterni e nessuna punta di ruolo, tanto per dirne solo una.
In più, la situazione economica, che, se da un lato, per la prima volta, fa a meno delle plusvalenze, dall’altro rende necessario un intervento dell’azionista di maggioranza, che ricapitalizza per la terza volta dal 2010. Con queste basi, la squadra parte in ritiro e inizia il campionato schiava del tira e molla del Sassuolo per la cessione di Locatelli, fortemente voluto dalla Juve e che fortemente vuole la Juve, esattamente come Chiesa l’anno precedente.
Su queste pagine ho scritto più volte che avere giocatori giovani, italiani (magari nel giro della nazionale) e che vogliono in modo forte e deciso giocare nella Juve non può che essere un aspetto positivo, al di là se questi giocatori siano dei fuoriclasse, dei campioni o semplicemente delle riserve. Chiellini e Bonucci tra qualche anno lasceranno la “nave” e avere in squadra gente come Chiesa e Locatelli è garanzia di continuità.
Il campionato inizia il 22 agosto tra dubbi e perplessità, con le solite voci su un probabile addio di Cristiano Ronaldo, voci che sono rimbalzate per tutta l’estate, e che si fanno insistenti appena viene annunciata la prima formazione della stagione: CR7 è in panchina!
La Juve non sembra però risentirne, e si porta sul due a zero a Udine. Nel secondo tempo, clamoroso “harakiri”: la partita termina 2-2 con un marchiano errore di Szczesny, che apre la strada al pari friulano dopo che i bianconeri di Udine avevano accorciato su rigore. Nei minuti di recupero viene annullato il gol del 3-2 a Cristiano Ronaldo, subentrato nell’ultima mezz’ora, per un fuorigioco di òmero.
In questa partita accadono due cose che caratterizzeranno più o meno tutta la prima parte della stagione: l’incapacità di chiudere la partita, che una volta era la specialità della casa, con errori individuali e pure abbastanza ingenui, e il fatto che ogni gol segnato dai bianconeri venga vivisezionato al VAR (cosa che, per inciso, non è un alibi, ma che non succede a nessun’altra squadra).
Nella settimana che va al secondo incontro del campionato, il patatrac: CR7 chiede di andare via; seguono giorni febbrili, in cui, se da un lato si era già capito da aprile che il portoghese non voleva più stare a Torino, dall’altro non ci si aspettava accadesse a tre giorni dalla fine del calciomercato.
Alla fine, il lusitano va a Manchester, non da Guardiola, però, ma allo United, sua ex squadra. Io sono convinto (ne parlavo con l’amico Enzo l’altra sera) che una volta che Cristiano avesse raggiunto tutti i record personali che poteva raggiungere (tutti i trofei italiani almeno una volta, capocannoniere del campionato, 100 gol in bianconero), non avrebbe avuto molto senso la sua permanenza per l’ultimo anno di contratto, perché chiaramente era un palmarès poco migliorabile.
Fatto sta che la Juventus ospita l’Empoli con un po’ di confusione sia in testa sia in campo, legata anche ai fattori esterni di cui parlavo, e riesce nell’impresa di perdere contro la matricola toscana: nonostante una partenza con il piede sull’acceleratore, l’Empoli segna su contropiede e la squadra bianconera diventa frenetica e perde certezze, cercando di passare dal centro, intasato, dopo che l’allenatore dei toscani, Andreazzoli, aveva bloccato bene le fasce. Nel concitato finale, in cui però non c’è né un guizzo individuale, né un’idea di collettivo, emblematica è la scena che vede protagonisti Allegri e Chiellini a bordocampo: “Questi qua sono…”, sembrerebbe dire in maniera sconsolata il capitano della Juve al proprio tecnico, in riferimento ai compagni di squadra.
Il campionato è lungo, dicono gli ottimisti, siamo messi peggio dell’anno scorso, dicono i pessimisti, fatto sta che si va alla prima delle tre soste per la Nazionale con un punto in due partite. E c’è da dire che non sarà il momento peggiore per la classifica bianconera. Casualmente, le tre soste previste per le nazionali ci vedono impegnati, al rientro, contro squadre di un certo livello (Napoli, Roma e Lazio); casualmente la federazione sudamericana decide di recuperare alcune partite del girone di qualificazione ai mondiali proprio a margine di quella sosta; casualmente, Chiesa torna acciaccato dall’incontro contro la Svizzera.
Comunque sia, si va a Napoli senza accampare alibi, e per una buona parte della partita la formazione bianconera conduce le danze. Il Napoli parte meglio, ma un errore di Manolas apre la porta a Morata. Dopo un’occasione sprecata da Kulusevski a fine primo tempo, nella ripresa ovviamente il Napoli spinge, ma non crea pericoli: ci pensa Szczesny, che dopo l’errore di Udine si ripete e favorisce il pareggio azzurro. All’85° l’episodio che decide l’incontro: sugli sviluppi di un calcio da fermo, Kean tocca maldestramente verso la propria porta, Szczesny riesce a toccare, ma irrompe Koulibaly e firma il 2-1. Tre partite, ancora un punto, ma gli ottimisti sono un po’ più ottimisti; ci fosse stata la squadra al completo, dicono, si sarebbe potuto anche vincere.
Allegri difende il portiere polacco (che, a onor del vero, è sempre stato un po’ pasticcione) dagli attacchi della stampa e della tifoseria e bisogna dire che forse alla fine ha ragione: le prestazioni del numero uno bianconero migliorano di giornata in giornata fino a diventare una delle poche certezze della stagione. Parte la Champions, che ci vede nel girone con i Campioni d’Europa del Chelsea, con lo Zenit San Pietroburgo e con il Malmö: cammino in discesa, con gli svedesi da affrontare in casa, e infatti la truppa di Allegri piazza un bel tre a zero che dà almeno un po’ di morale.
Il campionato prosegue ospitando allo Stadium il Milan, che, come il Napoli, ha sempre vinto e ha preso pochi gol; da un calcio d’angolo del Milan a inizio partita, però, la Juve riparte in contropiede: Alex Sandro recupera la sfera e la passa a Dybala che innesca Morata, lo spagnolo entra in area e trafigge Maignan con un pallonetto. Gli uomini di Pioli accusano il colpo e la Juventus pigia sull’acceleratore: tra il sedicesimo e il diciottesimo i bianconeri sfiorano il raddoppio tre volte, ma Maignan è bravo a opporsi a Morata, Dybala e Alex Sandro. Ricordate? Incapacità di chiudere le partite…
Nel secondo tempo il Milan spinge, ma non si rende mai pericoloso veramente, fino al 76°, quando Rebic pareggia con un pregevole colpo di testa sfruttando un calcio d’angolo battuto da Tonali. Nel finale il portiere polacco salva quella che sarebbe stata un’ulteriore beffa. Situazione paradossale, dopo quattro partite, solo due punti, con una squadra che il Mister ancora non capisce come schierare. Le successive due partite mostrano ancora l’ambivalenza della squadra bianconera, quasi una specie di dottor Jekyll e mister Hyde. Sia con lo Spezia, sia con la Sampdoria, medesimo risultato, 3 a 2, e sei punti che permettono di iniziare a risalire la classifica.
La difesa è ancora da registrare e Allegri lo fa nel primo incontro di un certo rilievo in Champions: il Chelsea arriva allo Stadium, e viene battuto con le sue stesse armi; così come nella finale del massimo torneo continentale i londinesi avevano battuto il City chiudendosi e ripartendo, così fa la Juve. Il risultato e soprattutto il fatto di non aver preso gol gasa i “cortomusisti”, e al rientro in campionato si prosegue sulla stessa onda: Torino, Roma e Zenit vengono superate di misura, con il “vecchio” 1 a 0 che non passa mai di moda, evidentemente.
Dopo la vittoria in Champions, che mette una seria ipoteca sul passaggio del turno, si va al Meazza, con i nerazzurri ancora staccati da Napoli e Milan (i partenopei 8 vittorie su 8 e i rossoneri 7 su 8). La partita inizia in salita, si fa male Bernardeschi e mentre in panchina cercano di capire se sostituirlo o meno, Calhanoglu lascia partire un destro che, complice una deviazione, finisce dritto sui legni per poi arrivare a Dzeko che deve solo appoggiare in porta. Dopo un’oretta senza grosse emozioni, tranne il solito Morata che si mangia il solito gol, all’86° l’arbitro viene richiamato al VAR per un contatto sulla linea dell’area di rigore tra Dumfries e Alex Sandro. Una volta assodato che il tocco dell’interista è avvenuto in area, ci sono pochi dubbi sulla concessione del rigore. Dybala dagli undici metri trasforma spiazzando Handanovic per l’1-1.
Nel turno infrasettimanale c’è il Sassuolo, e la Juve conferma quanto fatto vedere fino a quel punto del campionato: sterilità offensiva, incapacità di gestire i momenti della partita, e infatti alla fine del primo tempo vanno in vantaggio gli emiliani; nel secondo tempo forcing bianconero, pareggio di McKennie e poi, al 94°, mentre la Juve era tutta in avanti disordinatamente a cercare il gol della vittoria, la beffa: la squadra ospite recupera la sfera e parte in contropiede con Berardi, bravissimo nel cambiare gioco e nel mettere Maxime Lopez solo davanti a Perin; il centrocampista emiliano è freddo e lucido a superare Perin con un pallonetto e a regalare la vittoria alla squadra emiliana.
Questa sconfitta, dopo nove risultati utili consecutivi, ha degli strascichi tre giorni dopo: la Juve entra imbambolata sul campo del Verona, con Tudor, neoallenatore scaligero, che ne approfitta, ben conoscendo i blackout bianconeri. Un uno-due del Cholito Simeone in tre minuti rischia di affondare definitivamente la Juventus, che però nella ripresa inizia a giocare a calcio e segna di nuovo con McKennie, ma si vede negare il pareggio dal portiere veronese Montipò su tiro di Dybala.
Con “solamente” 15 punti conquistati in 11 giornate, figli di 4 vittorie, 3 pareggi e 4 sconfitte, la società decide per il “ritiro (punitivo)” dal lunedì successivo alla trasferta di Verona fino al sabato seguente (poi ci sarebbe stata la terza sosta per le nazionali). Una cosa che a Torino non avveniva dal 2004, dopo la sconfitta interna con il Lecce dell’ultima Juve di Lippi. Ancora con qualche problema difensivo, ma psicologicamente liberata (forse) dal confronto interno, la squadra di Allegri spazza via lo Zenit battendolo per 4 a 2 e qualificandosi con due turni di anticipo agli ottavi di finale di Champions. Nella partita successiva, con i viola, si vince al 91° con un’invenzione di Cuadrado, ma tanto basta.
Alla ripresa dopo le nazionali, con i soliti dubbi sulla legittimità di veder andare ogni mese 18-19 giocatori in giro per il mondo, la Juventus riprende contro la Lazio. Partita tutto sommato in controllo, si portano a casa i tre punti con una doppietta di Bonucci dagli undici metri, agganciando in classifica proprio i biancocelesti. Il martedì successivo, quello che non ti aspetti; forse scarichi perché già qualificati, i bianconeri vengono sepolti dal Chelsea: 4 a 0 senza appello. Grazie agli scontri diretti, in virtù della parità di punti, solo vincendo con il Malmö e sperando in una non-vittoria dei londinesi si potrà passare da primi.
Bisogna rituffarsi subito nel clima campionato: c’è l’Atalanta allo Stadium; la Juve non permette il solito gioco ai bergamaschi, che riescono a centrare lo specchio una volta sola: purtroppo è sufficiente, perché la sassata di Zapata vale i tre punti per gli ospiti. Peccato, forse la sconfitta più immeritata. Negli ultimi turni tocca finalmente incontrare le squadre di bassa classifica, e il Malmö in Champions. La Juventus fa quasi bottino pieno, con la sola eccezione del pareggio a Venezia, e il Chelsea, pareggiando con lo Zenit, regala ai bianconeri un insperato primo posto nel girone.
Certo, con Salernitana e Genoa si evidenzia ancora di più la sterilità offensiva, perché si riesce a centrare la porta decine di volte senza però che il risultato finale evidenzi la cosa. Ci si dovrà lavorare, certamente, perché se è vero che dopo l’inizio shock la Juventus ha ricominciato a difendere come una volta, e al termine del girone di andata è la terza migliore difesa del campionato dopo Napoli e Inter, è vero anche che attualmente i bianconeri sono l’undicesimo attacco, anche dopo Verona e Sassuolo e alla pari di Bologna e Sampdoria.
Il sei gennaio, ASL permettendo, si ricomincerà con un tour de force non indifferente: casualmente, il calendario “asimmetrico” ci metterà di fronte quattro delle prime sei nei primi turni del ritorno; tra il 6 gennaio e il 22 febbraio, data dell’andata con il Villarreal in Champions, la Juventus affronterà, nell’ordine: Napoli, Roma, Inter (Supercoppa Italiana), Udinese, Samp in Coppa Italia, Milan, Verona, Atalanta e Torino.
Previsioni? Vista la capacità di stupirci sempre, non sono proprio in grado di capire dove può arrivare questa squadra. Forse, proprio a fine febbraio ci capiremo qualcosa in più. In campionato, i neroazzurri di Milano, che erano partiti più lentamente rispetto ai concittadini rossoneri e al Napoli, sono ora in testa, e proprio le due ex fuggitive stanno perdendo colpi, così come li sta perdendo l’Atalanta. La distanza dal quarto posto, ultimo utile per la Champions, non sembra incolmabile, a patto di mantenere il ritmo.
Abbiamo però capito che non è semplice, non lo è per noi come non lo è per le altre, e se a marzo saremo lì dove siamo ora (a -4 dall’Atalanta e a -5 dal Napoli), tutto sarà possibile, basterà crederci. Ma non ci dobbiamo credere (solo) noi tifosi, ci devono credere soprattutto i calciatori.
Anche se, obiettivamente, un anno senza vittorie ci potrebbe stare, dopo dieci anni di trofei. Perché vincere non è importante, è l’unica cosa che conta.