Nel novembre scorso mi sono sottoposto ad un piccolo intervento chirurgico in una clinica di Fermo, ridente località delle Marche meridionali. Ero in stanza ad attendere la convocazione in sala operatoria con un ragazzo della zona e, tra una chiacchiera di argomento ortopedico e una di stampo politico siamo giunti all’argomento socio-economico-sportivo-local-geografico: che si dice di Della Valle?
Come saprete il patron della Fiorentina è originario di quelle parti e, ancora oggi, non ha delocalizzato del tutto l’azienda calzaturiera, lasciando a Casette d’Ete (FM) un importante polo industriale delle sue principali aziende di fabbricazione di scarpe. I cordialissimi signori con me nella stanza, come quei nonni che non aspettano altro di poter raccontare la loro prigionia in Germania, Grecia o Libia, si sono lanciati in una full immersion della vita di Diego Della Valle, elogiandone lo spirito imprenditoriale, l’attaccamento alla propria terra e qualche altro particolare che qui è meglio non raccontare. Secondo il ricordo del padre del ragazzo che attendeva come me l’intervento, Della Valle, ad un certo punto della sua vita di imprenditore della calzatura (la famiglia è nel ramo da 3 generazioni), è negli Stati Uniti e fa la scoperta che gli cambierà la vita. A quelle latitudini qualcuno ha pensato di appiccicare una suola di gomma ai mocassini, inventando un modello di scarpa che garantisse agli uomini di classe di essere eleganti anche in yacht o sull’aereo privato, luoghi su cui notoriamente è vietato salire indossando ai piedi suole potenzialmente pericolose per la propria incolumità e, forse soprattutto, per la preziosa pavimentazione.
L’intuizione di Della Valle è quella di rendere questo genere di calzatura accessibile a molte più tasche e sdoganarne l’uso dalla nicchia settoriale, rendendola una scarpa “pop”. L’intuizione, però, da sola non basta. Serve un testimonial, un personaggio del jet set di quelli che le mode le orientano, gli danno inizio. Il furbo Diego sceglie il migliore in circolazione, l’Avvocato Gianni Agnelli, all’epoca Re d’Italia. Entrato nelle grazie del sovrano, riesce a convincerlo a farsi suo ambasciatore. Non starò certo a specificare che non venne girato nessuno spot pubblicitario con protagonista Gianni Agnelli, il solo pensiero meriterebbe l’accusa di lesa maestà. No, lo stratagemma fu un altro, molto più semplice: l’Avvocato indossò il nuovo mocassino in una delle sue tante e famose interviste televisive. Lo stile dell’Avvocato, in queste occasioni, era magistrale. Mai assumeva la postura tipica di chi voleva mostrarsi come l’intellettuale colto della situazione, anzi. Il suo corpo, davanti al Giovanni Minoli di turno, era sempre nella posizione che assumerebbe l’amico con cui hai condiviso tante esperienze e che ti sta confidando l’ennesima scoperta o conquista. Una di queste pose, iconografica dell’Agnelli rimasto impresso nella memoria collettiva, vede lui seduto con la mano che regge la caviglia della gamba accavallata. Eccola, l’immagine che il regista della trasmissione televisiva aveva fissato nella mente come il pittore lo schizzo dell’idea primigenia di un quadro. Ogni volta che Gianni Agnelli assumeva quella posizione, scattava un’inquadratura che comprendesse anche la scarpa.
Inutile stare a dire che il successo fu immediato e planetario.
L’interesse di chi scrive non è certamente storiografico; ho cercato e trovato alcune conferme dell’aneddoto in diverse biografie più o meno ufficiali dell’imprenditore marchigiano, tuttavia non mi importa accertare la veridicità del racconto, mi interessa più trasportarlo all’interno della disputa sportiva tra le due squadre che questi personaggi rappresentano. Sono decenni che la Juventus supera la Fiorentina in ogni tipo di competizione, dentro e fuori dai confini nazionali, eppure molta parte della tifoseria viola vede nella squadra di Torino una nemica storica, anzi la nemica per antonomasia. Ci sono stati alcuni momenti, in effetti, che le due società si sono contese direttamente un trofeo, ma si contano sulle dita di una mano. Troppo poco per fare della Fiorentina una rivale abituale della Juve. Come ha dimostrato l’ultima semifinale di Coppa Italia, quando c’è un bottino consistente da conquistare, difficilmente la squadra toscana riesce ad avere la meglio sui bianconeri.
L’interesse di questa narrazione, quindi, è più romanticamente poetico, il rapporto tra il Della Valle giovane imprenditore e lo scafato Agnelli è solo la metafora della pseudo rivalità tra le due squadre. E’ l’illustrazione migliore di quale sia la considerazione che uno juventino ha della Fiorentina. Spero la morale della favola sia abbastanza chiara, una volta per tutte.