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Fino alla fine forza Juventus

Scrivo questo articolo non senza un filo, bello spesso, di emozione. Non parlerò molto di tecnica o tattica, né di quale coppia d’attacco schiererei se fossi mister Conte, mi scuserete per questo.

Il tempo dell’attesa si è concluso, incombe la nuova stagione. La squadra Campione d’Italia, la nostra Juventus affronterà domani (in trasferta per la prima volta nella storia) allo Stadio Olimpico di Roma, la squadra detentrice della Coppa Italia, la Lazio.

Parto proprio dalla polemica scaturita da una decisione assurda, ovvero quella di farci giocare fuori casa, ignorando il ricorso inoltrato dalla dirigenza bianconera. La fetta più grossa dell’incasso entrerà direttamente nelle tasche di Lotito, non si capisce bene perché. O meglio si capisce benissimo: comanda lui, decide lui. Questo è accaduto in quanto, ovviamente, non esiste una norma precisa che stabilisca chi debba giocare in casa il trofeo d’apertura dell’annata calcistica (o di chiusura di quella precedente, se visto da un’altra angolazione). Come in altre vicende del nostro calcio e del nostro Paese viene lasciato spazio all’interpretazione, quindi chi pesa di più “politicamente” può permettersi di fare il bello e il cattivo tempo. In questo caso, appunto, la Lazio del consigliere federale Claudio Lotito. Il Presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio, Giancarlo Abete, in merito al ricorso della Juventus si pronunciò in tal guisa: Senza entrare nel merito di una vicenda soggetto a un tipo di decisione che sarà assunta in tempi compatibili con la seconda decade di luglio…” ovviamente senza specificare il luglio di quale anno. Morale della favola: del ricorso non si è saputo più nulla.

Ma proviamo ad andare oltre, anche perché quello stadio non riesco proprio a farmelo stare antipatico, mi ha già dato troppe gioie in passato. Quelle gioie mi ripagano di qualsiasi amarezza passata, presente e futura.

Inizia la nuova stagione, dicevamo. Inizia una nuova esperienza per me e per i miei amici di “Juve a tre stelle”. La Juve arriva all’appuntamento senza troppe certezze e con un mercato ancora in divenire. Ci arriva dopo aver fatto vedere poco o niente del suo reale potenziale in questo precampionato, o almeno così auspichiamo un po’ tutti. L’attacco è sterile, la difesa concede troppo, i reduci dagli impegni internazionali sono fuori forma, le gambe ancora non girano a causa di una preparazione atletica dura come mai fino ad ora. Conte preidica calma, ma il popolo bianconero, sempre più esigente, pretende che si vinca. Ancora e ancora. Forse c’è il timore che si verifichi l’effetto “pancia piena” o che tra i giocatori si diffonda la disabitudine alla vittoria più dell’impressione che questa squadra manifesti in futuro reali carenze sotto il profilo tecnico. Le maggiori speranze sono riposte in Carlitos Tevez, colui che dovrebbe consentire alla Juve di fare un salto di qualità in Europa e dare una mano a consolidare la supremazia in Italia. Llorente è ancora un’incognita, visto che da circa un anno non disputa partite di un certo livello. Su Ogbonna è stato compiuto un investimento pesantissimo, pari a circa 15 milioni di euro inclusi i bonus e tutti si augurano che vada a buon fine. Il potenziale c’è, sia fisico che tecnico, starà al Mister cercare di tirarlo fuori, come ha già fatto in altri casi.

L’ambiente biancoceleste sembra, al contrario, godere di un discreto ottimismo che va al di là delle dichiarazioni di rito. La frase “Possiamo battere la Juve” penso sia stata pronunciata anche dal tabaccaio di Aprilia (preciso che trattasi di esempio a caso) oltre che da ogni singolo tesserato laziale in una qualsiasi delle conferenze stampa fin qui andate in scena. La squadra è pressoché la stessa dell’anno scorso, con allenatore confermatissimo e qualche innesto di qualità. La preparazione sembra sia stata calibrata in modo da arrivare in forma alla gara di domani, senza altre distrazioni o dispendiose (quanto fantomatiche) tournée. Inoltre la Lazio, come detto, gioca in casa.

E’ su un altro aspetto che però vorrei soffermarmi maggiormente. Quest’anno all’interno delle maglie da gioco della Juve la citazione bonipertiana “alla Juventus vincere non è importante, è l’unica cosa che conta” lascerà spazio al motto votato dai tifosi “Fino alla fine”. Di questo motto molte persone hanno fatto una filosofia di vita. Parlo di noi. La tifoseria bianconera è la più numerosa d’Italia ed è, quindi, anche la più eterogenea. C’è il pessimista cronico, quello che “con questi giocatori non si va da nessuna parte!”, quello che alla fine dell’anno, quando si alza l’ennesimo trofeo, commenta “Si, va bene, ma vuoi mettere con la Juve di Lippi?”. C’è l’entusiasta, quello che, anche se arriva un brocco qualsiasi, gioisce come se avessimo preso Messi. E’ lo stesso che disse “Vedrai questo Athirson!”. C’è il polemico, quello che non gli va mai bene niente. Compri i campioni e dice “Ora bisogna vendere i brocchi”. Vendi bene un giocatore e dice “No! Proprio lui no! E proprio a quella squadra!”. C’è quello che rimpiange Luciano Moggi. C’è il nostalgico di altro tipo, quello che “dopo Sivori non c’è più stato un fuoriclasse vero alla Juve”. Ci sono gli juventini veri. C’è quello che “Il bilancio prima di tutto”. C’è quello che “Me ne frego del bilancio io voglio i risultati!”. C’è perfino quello che ha dato a Conte dello scommettitore, che pensa sia un danno d’immagine averlo come allenatore della Juve. C’è chi si fa tatuare la Juve sulla pelle. C’è chi voleva una Juve più simpatica. C’è la ragazzina che ha iniziato a tifare i bianconeri perché ci giocava Borriello. C’è chi era a Rimini nell’estate del 2006. C’è quello che Marotta non lo vuol vedere nemmeno in fotografia. C’è chi la sua foto l’ha appesa in camera e si è fatto pure un altarino. C’è chi si arrabbia per un gol sbagliato. C’è chi non riesce a guardare le partite della Juve, troppa tensione. C’è chi sognava di diventare stella con la maglia bianconera ed ora ci protegge e ci guarda proprio da una stella. C’è chi la partita la vede in curva. C’è chi la vede dallo Sky Box. C’è chi la vorrebbe vedere in curva e ha trasformato il divano di casa nella Sud. C’è chi non compra gazzette corrieri e altri giornali. C’è chi è andato allo Juventus Stadium. C’è chi lo Juventus Stadium se lo sogna la notte. C’è chi si fa vedere ai vernissage con la maglietta della Juve, una volta l’anno, per il resto non gli importa nulla di noi. C’è la donna juventina. Ci sono un Avvocato ed un Dottore, con la A e la D maiuscole che non hanno mai esercitato la professione. C’è chi non dorme la notte dopo una sconfitta. C’è chi ha chiamato la propria figlia Vittoria. C’è chi ha chiamato suo figlio Alessandro, come un ragazzo veneto che, per vent’anni o giù di li, l’ha messa a girare sul secondo palo, per poi volare agli antipodi da Torino. C’è un Signore che ha lasciato la vita sull’asfalto di un’anonima strada polacca, per la sua Juventus. C’è un gruppo di amici virtuali che decide di parlare di Juve da pari a pari con altri amici juventini. C’è chi ci guida e porta una speranza nel cognome. C’è chi ha pianto una sera di maggio, quasi trenta anni fa e a quel tempo aveva già l’età per ricordare. C’è lo juventino friulano, sardo, siciliano, emiliano, thailandese, iracheno, sudafricano. C’è lo juventino a Milano, a Roma, a Firenze e a Napoli.

Per me anche tutto questo vuol dire tifare Juventus. Far parte della Juventus. Essere la Juventus.

Credo che tutti noi possiamo ritenerci unici, magari estranei a questo “catalogo”, perfettamente identificati in esso o una fortunata miscela di tutti questi elementi. Io ci sto dentro alla grande, cercatemi lì in mezzo e vedrete che mi “beccate” al volo.

Ma ci sono momenti in cui dobbiamo sentirci parte di un’unica famiglia, come quella sera del 22 maggio 1996, quando ogni singolo juventino nel mondo ha esultato, assieme a tutti gli altri, per quella partita vinta a Roma. Vorrei che cominciassimo così. Una partita a Roma della nostra Juve. Tutti uniti. Fin dal principio. Fino alla fine, forza Juventus!

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