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Superlega europea: si può fare?

A margine di una convention sul Financial Fair Play organizzata dalla FIGC alla Bocconi, l’AD del Bayern Monaco nonchè presidente dell’ECA e vecchia conoscenza del calcio italiano, Karl-Heinz Rummenigge, ha riproposto un’idea cara al presidente della Juventus Andrea Agnelli, ovvero quella di creare una Superlega Europea sotto l’egida della UEFA o di un soggetto privato sulla falsariga degli sport pro americani.

Secondo Rummenigge un torneo riservato a una ventina di club tra i più forti e con tradizione calcistica consolidata nel tempo consentirebbe di sfruttare al meglio il potenziale economico inespresso dall’industria calcistica del Vecchio Continente. Ma su quali basi verrebbe creata la Superlega? Con quali criteri verrebbero scelte le squadre partecipanti? Quali sarebbero le conseguenze per i movimenti nazionali? Per ottenere le risposte a queste domande è bene ricordare innanzitutto quali sono i criteri su cui poggia il successo degli sport professionistici d’oltreoceano:

  • Lega privata, gestita da un “Commissioner”, un professionista generalmente plenipotenziario incaricato di dirigere la governance, che promuove il proprio marchio, produce e gestisce autonomamente gli eventi nonché la vendita dei diritti televisivi e delle sponsorizzazioni, ridistribuendo parte dei proventi alle squadre.
  • Lega “chiusa” a un numero fisso di squadre (franchigie), senza retrocessioni né promozioni da serie minori.
  • Accesso alla lega consentito solo alle franchigie che rispettano alcuni parametri, tra cui ampie garanzie di stabilità economica e finanziaria, un bacino di utenza ed un mercato di una certa consistenza e la presenza di alcune infrastrutture minime tra cui l’arena/stadio di proprietà.
  • Suddivisione del torneo in più “Conference” (gironi) su base geografica, in cui le squadre si scontrano tutte durante la “regular season” (girone unico), mentre ai playoff si scontrano le squadre appartenenti alla stessa conference fino alla finale che si disputerà, per tanto, tra due squadre di conference diverse (ad esempio una della Eastern Conference e una della Western Conference).
  • Presenza di un “salary cap”, un monte ingaggi entro cui tutte le franchigie devono necessariamente operare, pur con alcune deroghe: vi è ad esempio la possibilità di eccedere di una quota prefissata rispetto al tetto massimo, previo pagamento di una “luxury tax”, una penalità economica da versare alle casse della Lega. I contratti hanno una durata e un tetto salariale massimo. Una volta terminato il contratto l’atleta può non rinnovarlo divenendo “free agent” (il nostro parametro zero).
  • I “Roster” (rose) sono limitati a un certo numero di elementi che possono essere acquisiti o “tagliati” entro una data stabilita, anche se provenienti da leghe esterne (ad esempio da campionati esteri o da leghe minori) sempre nel rispetto del salary cap.
  • I “rookie” (atleti esordienti) vengono ingaggiati dalle franchigie ai “draft”, selezioni in cui la graduatoria di scelta viene stabilita attraverso una lotteria con probabilità di “pescare” scelte più vicine alla prima da parte di chi si è classificato nelle ultime posizioni del campionato precedente.

La filosofia dei PRO

Il secondo principio cardine delle leghe pro americane è quello di fare in modo che tutti possano nutrire ambizioni di vittoria, attraverso una distribuzione equilibrata della ricchezza e dei valori sportivi. I manager più abili riescono a costruire squadre vincenti attraverso scambi oculati. Infatti le franchigie operano sul mercato attraverso scambi di atleti, non perché ci sia una regola scritta in merito ma semplicemente perché le acquisizioni dietro il solo pagamento in denaro non convengono né a chi compra né a chi vende. Chi compra acquisisce un atleta che va a gravare sul salary cap senza cedere atleti con ingaggi che possano liberare spazio, mentre chi vende vede diminuire il talento del proprio roster senza poter reinvestire la somma incassata sul mercato. Le franchigie effettuano scambi in cui possono essere coinvolti anche più atleti per volta e anche più di due franchigie per volta. Le franchigie possono anche decidere di utilizzare le scelte future nei draft come merce di scambio per ottenere atleti sul mercato.

I migliori prospetti dovrebbero finire nelle squadre peggiori, aiutandole a crescere nel lungo periodo per arrivare al vertice. Proviamo a spiegare la questione con un esempio “famoso”. Nella stagione 1983/1984 i Chicago Bulls erano una squadra mediocre e non avevano mai vinto un anello (titolo) NBA in tutta la loro storia: fecero registrare il disastroso record di 27 vittorie e 55 sconfitte, così ebbero la possibilità di scegliere con il numero 3 durante i draft. Con il numero 1 gli Houston Rockets scelsero Hakeem Olajuwon, ragazzo che sarebbe diventato un fuoriclasse assoluto, con doti tecniche impressionanti in un ruolo, quello di centro, che in quel periodo veniva ritenuto il più importante assieme al playmaker. Infatti con il numero 2 i Portland Trailblazers scelsero un certo Sam Bowie, ora noto solo agli appassionati, anch’egli pivot, pensando che con i suoi 216 cm di statura potesse diventare un giocatore dominante, anche perchè ritenevano di essere coperti nella posizione di guardia tiratrice (avevano scelto l’anno prima Clyde Drexler, giocatore fenomenale nel ruolo). In questo modo i Bulls furono liberi di scegliere Michael Jordan cambiando di fatto la loro storia e la storia della pallacanestro mondiale, avviando quel processo di crescita che consentì la composizione di un team leggendario, vincitore di 6 titoli tra il 1992 e il 1998.

Il primo obiettivo è ovviamente quello di fare soldi. Molti soldi. Vagonate, fiumi, montagne, mari di soldi. Il secondo principio è un’emanazione diretta del primo, nel senso che la distribuzione delle vittorie porta maggiore ricchezza a tutto il movimento, genera interesse diffuso, attrae gli sponsor, in teoria permette l’aumento del livello tecnico medio. In teoria, perchè le leghe pro made in U.S.A. hanno compiuto negli ultimi decenni la scelta di ampliare il numero di squadre che ha portato ad una dispersione di talento a scapito dello spettacolo. Ma il marchio delle leghe pro è talmente famoso che l’appetibilità sul mercato nazionale e soprattutto mondiale non è certamente venuta meno. Basti pensare che, come ha sottolineato lo stesso Rummenigge, il Superbowl (finale della NFL – lega pro del football americano) “vale” attualmente circa 5 miliardi di euro, contro il miliardo della finale di Champions League.

Superlega: perché si può e perché non si può

É possibile importare questo sistema o parte di esso per la creazione della Superlega del calcio europeo? Sia chiaro, non è il caso di fare tanti giri di parole o filosofeggiare sui benefici che la Superlega potrebbe apportare allo sport in termini di valori: verrebbe creata in primis con lo scopo di consentire ai grandi club di incrementare vertiginosamente i propri introiti. I top team sono ormai vere e proprie multinazionali, con fatturati che in futuro potrebbero arrivare a sfiorare il miliardo di euro, come ha recentemente auspicato Bartomeu per il “suo” Barcellona. Più soldi per club e atleti (e procuratori) dunque, con sponsorizzazioni più “pesanti”, promozione del marchio su scala mondiale, ottimizzazione del merchandising e via dicendo.

Rummenigge ipotizza una lega chiusa al 100%, con criteri di accesso all’americana, a cui parteciperebbero le quattro/cinque squadre con maggior blasone e bacino d’utenza dei quattro campionati europei principali, ovvero Spagna, Inghilterra, Germania e Italia, più altre due/tre squadre “esterne”. Sarebbe però molto difficile escludere i milioni dei russi, degli sceicchi e degli asiatici come ha invece ventilato Andrea Agnelli parlando di squadre con “evoluzione non normale” riferendosi a Manchester City e PSG.

Le problematiche che scaturirebbero dalla creazione di una Superlega sarebbero molteplici, primo fra tutti il dislivello dovuto ai diversi regimi fiscali in vigore nell’Unione Europea: in America le squadre canadesi, ammesse alle leghe statunitensi, sono penalizzate a causa della diversa valuta e della pressione fiscale maggiore rispetto a quella degli U.S.A. e difficilmente riescono ad accaparrarsi i talenti migliori. In Europa la questione si porrebbe con rilevanza ancora maggiore, visto che le venti squadre auspicate da Rummenigge proverrebbero da quattro diversi Paesi con quattro diverse legislazioni in materia fiscale. La Superlega potrebbe versare le tasse ai diversi sistemi erariali per conto dei club? Se così non fosse verrebbe meno la possibilità di competere alla pari, almeno teoricamente, con le altre e quindi verrebbe meno uno dei fondamenti su cui fanno leva le leghe pro U.S.A. per avere successo (e quindi per fare soldi). Immaginate una Superlega in cui vince per 10 anni di seguito il Barcellona e non ci siano altri trofei in palio: il rischio che si crei depressione nelle altre tifoserie e nei corrispondenti mercati con conseguente perdita di interesse sarebbe molto alto.

Che fine farebbero i movimenti nazionali? Il vero problema sarebbe cercare di non far morire i singoli tornei con la creazione di un sistema calcio alternativo alla Superlega. Si potrebbero mantenere le coppe nazionali ed articolarle meglio, in modo che tutti abbiano la possibilità negli anni di ammirare le squadre più forti all’opera “dal vivo”, nella propria città, consentendo inoltre a tutti di avere la possibilità di conquistare un trofeo. Oppure le leghe e/o le coppe nazionali, trattate alla stregua delle leghe minori U.S.A., potrebbero consentire l’accesso a una sorta di riedizione della Coppa delle Coppe alla quale parteciperebbero anche i team della Superlega. Potrebbero essere create le “Squadre B” da cui i club della Superlega potrebbero “pescare” calciatori a piacimento oppure inserire calciatori in esubero dalla squadra A che ad esempio hanno bisogno di riabilitazione post infortunio.

Ma la strada sembra quantomeno in salita e soprattutto non si capisce come le singole Federazioni, la UEFA e la FIFA (che hanno tutto l’interesse a coinvolgere il maggior numero di Federazioni nelle competizioni internazionali) potrebbero avallare un progetto che comunque la si voglia guardare andrebbe contro i loro stessi interessi. Staremo a vedere.

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