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Totti e Del Piero: così uguali, così diversi

La maniera nella quale sta evolvendo in queste ore il finale di carriera di Francesco Totti ha generato, tanto nei tifosi quanto in alcuni addetti ai lavori, un facile parallelismo con quanto accadde quattro anni fa per l’ultimo anno in maglia bianconera di Alessandro Del Piero. Si tratta di due declinazioni del rapporto tra giocatore bandiera e società/staff tecnico che possono essere accomunate solo da un’analisi molto superficiale, e infatti con molta superficialità (quando non pretestuosità e malafede) fu trattato all’epoca il caso dell’attaccante veneto.

In entrambi i casi si è parlato e si parla, a sproposito, di mancanza di rispetto da parte delle rispettive società, passando con molta indulgenza, invece, sopra gli atteggiamenti dei calciatori, quasi che lo status di “bandiera” comporti solo diritti, talvolta privilegi, per il calciatore e solo doveri per la società di appartenenza. L’argomento è molto delicato, perché il calcio è materia eccessivamente emozionale e per taluni tifosi l’attaccamento pluriennale nei confronti del calciatore-bandiera produce prese di posizione totalmente irrazionali. Altro fattore che contribuisce a ingarbugliare la matassa in questo tipo di situazioni è l’ego spropositato del calciatore-bandiera, che lo porta a considerare la propria carta di identità un optional e a valutare come una indebita ingerenza il fatto che altri possano decidere quando il rapporto si debba interrompere. Il calciatore, ed è capitato a Del Piero come oggi a Totti, ritiene di poter continuare a giocare finché non lo decide lui anche se il giudizio del campo è impietoso, e magari lo è da qualche anno. La frustrazione del dover ammettere a se stesso che la fase più bella della propria vita deve cedere il passo alla dittatura del tempo che passa viene soffocata sotto il peso di un ego ipertrofico, alimentatosi nel corso dei lustri di una carriera ineguagliabile. Pochi giocatori nella storia del calcio hanno avuto l’umiltà e l’intelligenza di capire da sé il momento in cui era giusto smettere, quel momento in cui si passa da “gioca perché fa la differenza” a “gioca perché è un mito“. E quando arriva quel momento e il giocatore non se ne accorge, l’evoluzione da mito a feticcio fino a caricatura di se stesso sopraggiunge a velocità inesorabile, andando a sporcare con un triste finale una carriera meravigliosa.

Le situazioni di Totti e Del Piero divergono per un particolare che ha fatto la differenza anche nel corso delle rispettive carriere, ed è il quoziente intellettivo che i due hanno saputo mettere al servizio dell’enorme talento di cui li aveva forniti madre natura. Le stesse ragioni che hanno fatto di Del Piero un calciatore moralmente irreprensibile, che non ha mai sputato addosso a un avversario, non si è reso mai protagonista di falli o reazioni sopra le righe in campo (anzi, ha dato lezioni di fair play e signorilità nel reagire a chi lo aveva preso a schiaffoni durante una partita) e non ha mai accusato gli avversari di vincere utilizzando metodi illeciti ma ne ha sempre riconosciuto i meriti quelle volte che gli è capitato di stare dalla parte dello sconfitto; hanno fatto sì che i mal di pancia che ne hanno accompagnato il finale di carriera non sfociassero mai in una intervista come quella di Totti al Tg1, con conseguente inevitabile smacco di un capitano e bandiera che viene allontanato dal ritiro della squadra.

Del Piero ha compiuto un gesto di rottura, una forzatura, nel febbraio del 2011, quando in un momento molto negativo per la squadra e nel mezzo di una fase di stallo delle trattative per il suo ultimo rinnovo di contratto, forzò la situazione con quel video del famoso “contratto in bianco”, mettendo il neo Presidente Agnelli con le spalle al muro. Lì i rapporti tra i due si incrinarono ed era ovvio che, alla prima occasione possibile, il Presidente gli avrebbe presentato il conto. Con quell’annuncio durante l’assemblea degli azionisti Agnelli si volle riappropriare del suo ruolo di comando, ristabilendo le normali gerarchie di qualsiasi società seria: nessun giocatore nella Juventus (ma anche nessun allenatore), per quanto grande sia, può pensare di mettersi al di sopra della società, di essere più importante della Juve stessa e di ribaltare il normale ordine delle cose, facendo pesare nelle relazioni con la società l’amore incondizionato di cui gode presso la tifoseria. Perché nessuno, nemmeno il più grande, andrà mai via dalla Juventus registrando un credito tra quanto ha dato e quanto ha ricevuto. Agnelli ottenne così un duplice risultato: mise l’allenatore nella situazione più agevole per gestire dal punto di vista tecnico l’ultimo anno di un giocatore così “ingombrante” e spezzò sul nascere tutti gli equivoci che si sarebbero venuti a creare su un contratto che era stato concepito come l’ultimo ma che, facendo leva sul dire e non dire e sull’amore della tifoseria, lo stesso Del Piero avrebbe volentieri trasformato nel penultimo o terzultimo. Alex fece capire alla sua maniera, con garbo e ironia, talvolta in maniera “paracula”, che quella situazione non la gradiva particolarmente, ma mai si arrivò ad una situazione clamorosa come quella odierna di Totti, e per questo dobbiamo ringraziare tanto la mano ferma della società (cosa che nella Roma oggi si sta rivelando molto deficitaria) quanto l’intelligenza e l’educazione di Del Piero, che mai nella vita si sarebbe permesso di compiere un gesto mediaticamente clamoroso come quello del giocatore romanista. Tutto ciò ha prodotto risultati eccezionali tanto a livello tecnico che a livello emozionale: Del Piero, pur giocando poco, ha contribuito con goal e giocate importanti nel momento decisivo della stagione alla conquista del trentesimo scudetto e il suo addio alla Juventus (non al calcio, perché per l’ego di cui sopra ha preferito trascinarsi in campionati minori, non riuscendo nemmeno in quelli a fare più la differenza) è stato una della cose più belle ed emozionanti mai viste in un campo di calcio. Un finale da favola, come si doveva a una carriera eccezionale.

Non so come andrà a finire la situazione di Totti, se i rapporti verranno (come sembra) ricuciti almeno per una questione di facciata fino alla fine della stagione e la rottura che si è generata verrà tenuta sotto traccia nei prossimi mesi, con Totti che si sentirà gratificato dall’aver dimostrato a Spalletti che la piazza è in larga maggioranza dalla sua parte (a proposito di ego abnorme). Certo viene da ridere nel ripensare a quattro anni fa, quando da parti romaniste si era all’improvviso diventati più delpieristi di molti juventini, sproloquiando di società ingrata e irriconoscente e di bandiere che da loro non sarebbero mai state trattate in quella maniera. Il tempo, al solito, si è rivelato galantuomo e ha restituito alle cose la loro giusta dimensione: la Juventus non ha dimostrato ingratitudine ma solo programmazione, l’addio di Del Piero è stata una pagina bellissima a livello emotivo, è stato un addio vincente grazie anche al suo contributo tecnico ed è stato un addio senza stracci che volavano sulla pubblica piazza grazie al valore extra tecnico del giocatore. Viceversa a Trigoria le cose hanno preso una piega inimmaginabile fino a poco tempo fa, sia per colpa di una società che non ha ancora saputo prendere una posizione chiara e ferma, che per le caratteristiche di un calciatore che lungo tutta la sua carriera ha dimostrato un quoziente intellettivo di gran lunga inferiore al talento tecnico. Fosse stato appena più alto, gli avrebbe sconsigliato un’uscita così scriteriata per contenuti e tempistica (nel momento in cui la squadra si stava tirando su dopo un periodo disastroso a livello di risultati).  Di sicuro il suo non sarà un addio da vincente (questo però in perfetta sintonia con la sua carriera) e chissà se, dopo le vicende di queste ore, sarà mai bello ed emozionante come quello vissuto allo Juventus Stadium il 13 maggio 2012.

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