Dunque anche Bonucci ha lasciato Vinovo, dopo tutti coloro che abbiamo visto partire in questi anni; in fondo dovremmo esserci abituati ma sappiamo che non è così, a maggior ragione quando va via una delle colonne di questi ultimi sei anni, uno dei leader su cui la Juve ha costruito tutte le fortune (e le vittorie) dalla stagione 2011-2012.
Questa volta però è diverso, non si tratta di un giocatore a fine carriera che vuole chiuderla (a parole) lì dove aveva cominciato, o decide di andare a svernare in USA, o torna a casa “dopo esser stato in vacanza”.
Perdiamo il miglior difensore italiano ancora nel pieno della sua maturazione calcistica, per di più cedendolo in Italia a una rivale storica. Si potrebbe discutere (all’infinito) il quantum incassato, ma non conoscendo le dinamiche societarie, preferisco non infilarmi in questo tipo di discorsi.
Dovremmo essere incazzati col mondo intero, giusto? Teoricamente sì, ma sbollita la rabbia bisogna sedersi e riflettere sul perché si sia giunti a questo.
È evidente che il punto di partenza sia rappresentato dalla sceneggiata posta in essere da Leo nei confronti dell’allenatore al termine della partita casalinga contro il Palermo.
In una grande e moderna azienda ci sono dei ruoli ben definiti (con annesse responsabilità) articolati su diversi piani, è chiaro che il difensore viterbese con quell’atteggiamento di “insubordinazione” si fosse posto fuori da questi canoni.
Alla dirigenza spettava l’arduo – ma forse nemmeno tanto – compito di scegliere da quale parte stare. Occorreva dar un segnale forte alle “maestranze”, infatti Marotta and company appoggiarono la decisione del tecnico di spedirlo in tribuna a Oporto.
L’allenatore livornese poteva anche aver commesso effettivamente degli errori nella partita contro i rosanero, ma un sottoposto non deve permettersi di correre verso gli spogliatoi e fare lo sceriffo. Alla Juve non puoi. Non ti è consentito. Neppure se ti chiami Bonucci.
Sei fuori, direbbe Flavio. Lo affermo a malincuore perché mai avremmo immaginato di vederlo con una maglia diversa (per giunta quella rossonera) però non c’erano alternative per salvaguardare il gruppo che dev’essere sempre privilegiato rispetto al singolo.
Non sapremo mai cos’è realmente accaduto nell’intervallo di Cardiff, ma ricordo perfettamente il tuo post sui social al termine della partita: “è STATO un onore aver fatto parte di questo gruppo”, evidentemente le strade tue e della Juve si erano già separate più di un mese fa.
Sarò accusato di aziendalismo ma in questa vicenda non posso che plaudire alla scelta della dirigenza la quale, confermando il mister, conseguentemente ha dato il benservito al difensore della nazionale.
Trattasi di coerenza, perché non più tardi di tre anni fa lo stesso trattamento fu riservato a Conte nel momento in cui voleva oltrepassare i limiti delle sue competenze, fare solo e soltanto l’allenatore, per invadere quelle altrui (scelte di mercato).
Spesso ci siamo vantati di avere una società-modello per organizzazione, per risultati economici e sportivi, per lungimiranza; bene, dovremmo farlo anche in questa vicenda perché in una moderna azienda iperstrutturata si lavora per il raggiungimento di obiettivi generali e comuni a tutti, non per la soddisfazione di uno soltanto.
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