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Vincere la Champions in 6 mosse

Questo articolo contiene parolacce. Dovete scusarmi, ma parlando di questo argomento non posso farne a meno.

Ogni anno, puntualmente, noi juventini ci troviamo a rimuginare su quella che amorevolmente chiamiamo l’Anfora Puttana (cit.). Pensiamo a cosa è andato storto, a cosa potevamo fare di più per portarla a casa, a cosa servirà l’anno prossimo per riuscire a ghermirla dalle braccia della Dea Tiche (la romana Fortuna). Più semplicemente si smadonna alla grandissima. Che i Santi di ogni calendario si sentono fischiare le orecchie da giugno ad agosto inoltrato. Tutti gli anni, anno più anno meno.

Chiaramente non esiste una formula magica all’uopo, altrimenti Andrea Agnelli avrebbe già contattato come minimo il Divino Otelma oppure Nuvola Rossa, lo sciamano dei Navajo di bonelliana memoria. Anche in quel caso, trattandosi di Juventus, siamo sicuri che avrebbe prevalso il cattivo di turno – chiamiamolo il Mefisto dalle grandi orecchie – e ci saremmo comunque ritrovati a smadonnare chiedendoci quale stregone assumere per vincerla nella stagione successiva.

Vediamo però quali sono le componenti che più possono influire nella conquista della vittoria finale, quali i segreti di questa competizione che da sempre ci riserva grandi amarezze e rarefatte gioie, ormai lontane nel tempo e sbiadite nei ricordi. Ci sono sei elementi/passi fondamentali che, messi in fila nella maniera giusta, portano una società e i suoi tifosi sul tetto d’Europa. In modo da finirla con lo smadonnamento as way of life.

Un allenatore “veramentebbravo”

“Il presidente è il capo, poi ci sono i consiglieri, poi il segretario, poi i tifosi, poi i giocatori e poi alla fine di tutto in fondo al mucchio l’ultimo degli ultimi, la persona di cui alla fine possiamo tutti fare a meno, il fottuto allenatore!” (The Damned United)

E invece noi, quell’uomo lì, che sbraita a bordocampo, che si innervosisce, che impreca, che si dimena, che rispecchia un po’ tutti noi impotenti davanti alla TV, lo mettiamo al primo posto della nostra lista. Perché quell’uomo lì deve essere davvero abile e paraculo il giusto (oltre che molto competente) per riuscire a sopportare le pressioni che si creano in una competizione snervante come l’Anfora. Nervi saldi per chi deve gestire mugugni in spogliatoio da parte di chi vorrebbe giocare di più, per chi è costretto a sostituire l’infortunato – ipotizziamo – Marchisio con – ipotizziamo – Hernanes. Che poi magari Hernanes fa quello che non ti aspetti, sia chiaro, però a priori la bestemmia un po’ ti parte. L’allenatore è davvero l’elemento più stressato, l’unico che rischia costantemente le chiappe, perché quando si vince vincono i giocatori e quando si perde, perde l’allenatore.

La rosa

“Rosam cape spinam cave” – Cogli la rosa, evita le spine (Gabriele D’Annunzio)

Allestire un organico all’altezza è senza dubbio basilare ai fini della vittoria finale. Ci vuole lo zoccolo duro, ci vogliono i campioni, ci vuole gente abituata a vincere, ci vogliono giocatori integri fisicamente, ci vuole esperienza, ci vuole freschezza, ci vuole incoscienza, ci vuole la mentalità europea, ci vogliono le palle, ci vuole freddezza, ci vuole grinta, ci vuole coraggio, ci vuole talento, ci vuole classe, ci vuole forza. Ci vuole tutto, come per fare un tavolo. Se manca una di queste qualità non si va da nessuna parte, perché a seconda di come gira bisogna essere bravi a tirar fuori ciò che serve. Bisogna avere 22 titolari per non lasciarsi alle spalle nessun tipo di rimpianto e per fare in modo di far girare le cose nel modo giusto, anziché far girare le palle nel modo sbagliato.

Un girone che rispecchi i reali valori in campo, perché la meritocrazia è importante

“Per me si va ne la città dolente,
per me si va ne l’etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.

Giustizia mosse il mio alto fattore:
fecemi la divina potestate,
la somma sapienza e ‘l primo amore;

dinanzi a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogne speranza, voi ch’ intrate.”

(Dante Alighieri)

Ogni volta è una sofferenza. Budella contorte per pareggi contro squadre scandinave dal nome impronunciabile, costretti a fare punti su campacci impraticabili, l’acqua alla gola (o la neve) all’ultima giornata, immancabilmente in trasferta, magari contro l’ex interista o l’ex perso a parametro zero che puntuale come un orologio ti purga. E anche lì le madonnine… Se sei forte, se sei superiore, il girone lo devi portare a casa da vincitore. Punto e basta. Contro il Monchencoso, in casa, devi vincere tre a zero, perché quello è il reale divario tra le due squadre. Contro il GalatasaMay, in casa, in vantaggio, devi portare in cascina tre punti. Devi punire gli avversari più deboli per cercare di andare al sorteggio nella miglior posizione possibile, senza rischiare di dover affrontare da subito gli squadroni, che poi magari si eliminano tra di loro e sai com’è… chi dice “eh ma per vincere bisogna affrontarle tutte” che vada bellamente affanculo. Con rispetto parlando. Voglio arrivare in finale affrontando solo squadre di merda con 237 infortunati (loro) e i miei al massimo della forma. E per fare questo se vinco il mio girone tendenzialmente aumentano le mie probabilità.

Eliminazione diretta

“Hasta la vista, baby!” (Terminator 2 – Judgement Day)

Le prove senza appello ci vedono solitamente in grande spolvero. Se ai gironi generalmente giochiamo con effetto-guttalax, dagli ottavi in poi cominciamo a sfornare ottime prestazioni, magari anche contro avversari che sulla carta sarebbero superiori. A volte questo non basta, però questa è una fase che di rado ci ha fatto sacramentare. Parlando dei recenti accadimenti, qualche anno fa siamo usciti contro il Bayern della tripletta, l’anno scorso siamo arrivati in finale mentre quest’anno un pochettino abbiamo dovuto aprire il calendario. Tutto sommato non male, visto anche l’ottimismo che aleggia sulla Juve in vista delle prossime stagioni. L’importante, anche qui, è non lasciare nulla di intentato, consci non solo che nell’arco di 180 minuti siamo in grado di mettere in difficoltà chiunque, ma sopratutto che da qualche anno a questa parte, al momento dei sorteggi, nessuno vorrebbe affrontare la Juventus.

La finale

“Quando sei la Juve del secondo o terzo posto non te ne fai nulla” (David Trezeguet)

Abbiamo un bel po’ di roba di cui non ce ne facciamo nulla. Un bel po’ di finali perse di cui faremmo volentieri a meno, un record negativo che odiamo. Spesso ci siamo presentati all’atto conclusivo dell’Anfora da favoriti e quasi sempre l’epilogo è stato nefasto. I nostri avversari sono fin qui stati l’Ajax (superiore-perso), l’Amburgo (inferiore-perso), il Liverpool (inferiore-vinto), l’Ajax (inferiore-vinto), il Borussia (inferiore-perso), il Real Madrid (inferiore-perso), il Milan (diciamo in bilico-perso) e il Barcellona (superiore-perso). Con un bilancio del genere c’è di che farsi due risate quando si sente parlare della maledizione di Béla Guttman. Ma la finale è soprattutto questione di nervi saldi, è una partita secca in cui devi dare tutto e avere la testa sgombra da paure, dubbi e incertezze. Spesso siamo scesi in campo con la cacarella o con gente totalmente fuori forma, o con gente che sarebbe stata ceduta il giorno dopo. Insomma senza essere davvero la Juve. Riuscire a portare la vera Juve in finale, quella che ti ci ha fatto arrivare alla finale, sarebbe il modo migliore per cercare di vincerla, la finale. E magari cambiare nome alla competizione. Da Anfora Puttana a Champions League.

Il culo

“Coincidenza è il modo di Dio di restare anonimo” (Albert Einstein)

Ci vuole moltissimo culo. Molto prosaicamente il culo è un elemento imprescindibile per vincere l’Anfora. Dal sorteggio all’ultimo millisecondo della finale se c’è una squadra in debito con la fortuna, in Champions fottuta League, questa è la Juventus. I famosi episodi non ci sorridono mai, ma proprio mai. Fantozzi ci fa una pippa. L’unico episodio determinante a favore fu quel rigore a Bruxelles, ma ricordiamo quella partita per altri e più tristi eventi. Il che è di un’ironia davvero macabra se ci pensate. L’unica volta che ti gira bene succede quello che è successo. Una volta perdi per un gol in fuorigioco, un’altra volta non ti danno un rigore solare, nell’altra vieni schiantato da tuoi ex giocatori dati troppo presto per finiti. Insomma il culo è innegabilmente e ineluttabilmente uno dei principali motivi per cui vinci o perdi l’Anfora. Qui, devo dire, possiamo fare ben poco visto che la fortuna è cieca, ma la sfiga, specialmente con la Juventus in Champions League, ci vede benissimo (semicit.).

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