

“Interrompiamo le trasmissioni per comunicarvi una notizia straordinaria. Le forze armate tedesche si sono arrese agli angloamericani. La guerra è finita! Ripeto, la guerra è finita“. Con queste parole, senza neanche troppa enfasi, Corrado Mantoni nel 1945 annunciava alla radio la fine della Seconda Guerra Mondiale.
Alcuni però continuarono a combattere per anni. Celeberrimo il caso del tenente giapponese Hiroo Onoda, che si arrese solo nel 1974, 29 anni dopo. Eppure, alcune avvisaglie le aveva avute. Nel 1945 la voce a lui sconosciuta dell’imperatore Hirohito annunciò l’impossibilità di continuare la lotta e ordinò al suo esercito di arrendersi. Parole lontane, colte, a lui aliene. Il tenente Onoda non le capì o comunque non ci volle credere e continuò a combattere. In seguito furono lanciati volantini nella giungla per spiegare che era tutto finito. Onoda ne trovò più d’uno ma, spiegò in un’intervista, “pensai che fosse un trucco degli americani”. E continuò a combattere. E a uccidere. Ignorò segnali ovvi come il fatto che non ci fossero più bombardamenti, che la giungla non fosse pattugliata, che la gente vivesse una vita normale: non si pose mai neanche il dubbio e continuò nella sua ossessione. Uccise inutilmente 29 persone. Quando finalmente si arrese, in patria lo considerarono un eroe; nelle Filippine, dove aveva ucciso, un assassino; alcuni ne lodarono la tenacia e la dedizione, altri lo considerarono un pazzoide esaurito con gravi problemi: nella migliore delle ipotesi uno sfigato che aveva sprecato la sua vita per un ideale morto e sepolto. Questione di prospettive. Il samurai si ridusse a erogare corsi di sopravvivenza per vivere.
Ma non fu l’ultimo. Dopo di lui venne il turno di Teruo Nakamura. Era giapponese ma nato a Taiwan: i due Paesi fecero a gara per disconoscerlo, per non dovergli pagare gli arretrati di guerra e la pensione sociale. Dopo furiosi dibattiti rimase a Taiwan, con la pensione minima. Come si vede, da eroe a coglione il passo è molto breve. Dipende solo dalle prospettive.
Perché vi dico questo? Perché volevo annunciarvi che la guerra è finita, e Allegri ha vinto.
Già. Allegri “il cagòn” ha vinto. Gioca con 3 punte vere, un esterno d’attacco, due soli centrocampisti e neanche uno straccio di incontrista a centrocampo. Che so, basterebbe pure uno Sturaro, mezzo Rincon, e invece: niente. E intanto il tempo, galantuomo, ha reso giustizia al vero spessore morale dei personaggi in questione.
Allegri, quello che “comandano i senatori”, ha vinto. Nella gara finora più importante della stagione (Porto) si è permesso il lusso di panchinare Dani Alves e Marchisio, di spedire in tribuna Bonucci per motivi disciplinari e nel frattempo quello che doveva giocare per forza in virtù del suo blasone di calciatore, al secolo Patrice Evra, è andato a chiudere la carriera all’Olympique Marsiglia. Giusto per chiarire chi-decide-cosa.
Allegri, quello che “vive del lavoro di Conte”, ha vinto. Ha iniziato con la difesa a 3, poi è passato alla difesa a 4, al centrocampo a 3, col trequartista, senza trequartista, con l’esterno d’attacco e senza, col centrocampo a 2, a 4, con 2 punte, con 3 giocatori dietro l’unica punta, sempre continuando a vincere. Quando a Porto Mandzukic si è accentrato e Dybala si è allargato a sinistra, per un momento mi è sembrato di vedere un incredibile 4-2-4… Ma non importa, perché un allenatore bravo adatta il modulo ai giocatori che ha a disposizione cercando di tirar fuori il meglio da quello che c’è, invece di pretendere che la società gli compri i giocatori ideali per il suo modulo.
Inoltre, della rosa di Conte sono rimasti solo in 6 più Buffon: decisamente pochi per poter campare del suo lavoro.
Allegri ha vinto perché è entrato al ristorante senza porsi il problema del conto. Non si sa bene quanti soldi avesse nel portafoglio, né se il menù fosse di suo gradimento, sta di fatto che in compagnia di Sturaro ed Hernanes è entrato e si è seduto a tavola. E ha mangiato tutto quello che poteva.
Al di là delle metafore, quando Allegri si è seduto sulla panchina della Juventus era un problema affrontare squadre come il Copenaghen e il Galatasaray; oggi abbiamo giocato una finale di Champions, abbiamo sempre superato il girone, siamo arrivati a stabilire il record assoluto di 4 vittorie in trasferta e in generale alla Juve viene riconosciuta una dimensione europea di tutto rispetto, che prima non aveva.
Allegri ha vinto perché non ha mai sbagliato una conferenza stampa. È sempre pacato, a modo, risponde sorridendo, senza isterismi e maneggia domande al tritolo come fossero calici di Bolgheri. Non c’è stato mai bisogno di chiarire o rettificare quello che aveva detto perché è sempre stato chiaro a tutti; non ha mai messo in imbarazzo noi tifosi della Juve con dichiarazioni fuori posto e frasi insensate e anche questa è “tanta roba”.
Allegri ha vinto perché la squadra gioca bene. Già, proprio così. La Juventus concede pochissimo agli avversari (anche martedì il Napoli ha fatto gol nell’unica occasione concessa: “peccato” fosse in fuorigioco) e crea molto. Se proprio vogliamo trovare il classico pelo nell’uovo, forse non concretizza abbastanza per quanto crea, ma 29 gol nelle ultime 13 partite giocate sono comunque un bottino di tutto rispetto.
Infine, udite udite, Allegri ha vinto perché la Juve diverte. Non solo vince e convince, ma attua anche un gioco piacevole e vario, alternando possesso palla ragionato e imbucate improvvise a ficcanti azioni in velocità.
Allegri, a fine stagione, andrà via. E per tutti questi motivi, lo rimpiangeremo. Anche per questo lui ha già vinto.
Ma la stagione non è ancora finita, direte giustamente, e paradossalmente resta la parte più importante: vincere.
Come Allegri aveva promesso, la Juve di marzo è finalmente arrivata: ora tocca ai giocatori alzare i trofei perché le condizioni per farlo ci sono tutte. Può ovviamente succedere che alla fine non si vinca, perché potrà succedere (a qualcuno può sembrare incredibile, ma è così) di incontrare squadre che si dimostreranno essere più forti di noi. Ciò non toglie che Allegri abbia comunque svolto bene il suo lavoro, perché ha messo la squadra nelle condizioni di poterlo fare (che poi è esattamente quello che compete ad un allenatore della Juventus): quando qualcuno svolge bene il proprio lavoro merita almeno di non essere criticato.
Lungi da me l’idea di impedirvi di continuare la battaglia contro Allegri, come giapponesi nella giungla: solo considerate che i segnali che vi avvisano che la guerra è finita sono molteplici e sono molto evidenti.
Il resto è questione di prospettive.
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